Ammettiamolo: non è un buon momento quello che sta attraversando il nostro pianeta. Da più di due anni a questa parte la minaccia della pandemia, la recessione economica, il buco nell’ozono e i cambiamenti climatici, hanno inciso in maniera drammatica sulla qualità della vita globale, mettendo in ginocchio paesi le cui economie sembravano a prova di crisi. Figuriamoci le economie dei paesi più deboli. Per non parlare dei poveri del mondo, laddove non esiste nemmeno un’ economia di sussistenza.
Tuttavia, a covid domato (ci si augura), saranno le conseguenze della guerra in Ucraina a lasciare probabilmente ancora più strascichi di quanto non abbia fatto la pandemia, mettendo a repentaglio da qui a pochi anni l’esistenza stessa di centinaia di milioni di vite umane. Specialmente nel continente africano, ma non solo, nelle periferie degradate delle nostre città dove il terzo mondo è davvero dietro l’angolo.
Le stime non lasciano dubbi: il quasi totale fabbisogno di cereali di diversi paesi del Maghreb o dell’ Africa Subsahariana dipendono dalle esportazioni di grano e frumento dall’Ucraina e in parte dalla Russia. E il blocco dell’export dei cereali dai porti sul Mar Nero ha fatto sì che i prezzi sul mercato aumentassero a dismisura, ubbidendo alla spietata legge di mercato: chi ha la possibilità compera, anche a prezzi salati; chi questa possibilità non ce l’ha rischia invece di morire di fame. Easy peasy.
Il rischio di malnutrizione o di denutrizione e di inedia in quei paesi va pari passo agli endemici problemi strutturali e politici. Non è una novità, ma stavolta la crisi russa potrebbe innescare un tremendo effetto domino che finirebbe per annientare chi sta a valle della “catena economica”. Come qualche giorno fa ammoniva il segretario dell’Onu, Gutierrez, la fame e la disperazione saranno una terribile realtà per una sempre più larga fetta di popolazione. Per lunghi, lunghissimi anni. Nel Corno d’Africa ma anche nel più vicino Egitto dove l’apporto medio e energetico dei cereali si aggira attorno al 40 % del fabbisogno totale, la situazione sarà già drammatica a partire dai prossimi mesi. E le pessime notizie non finiscono qua. La Cina, primo produttore di grano mondiale, ammette che il ritardo della stagione delle piogge ha provocato il ritardo delle semine e che questo di giugno potrebbe essere il peggiore raccolto di sempre. Le fa eco l’India, secondo produttore mondiale che, ammette: la penuria di piogge durante il periodo dei monsoni ha irrimediabilmente compromesso il raccolto. Tutto ciò a detrimento di tutti, Russia compresa.
Di fronte a questo scenario apocalittico, viene da fare un paio di considerazioni. La prima è che la Guerra oltre che ingiusta e disumana (e folle e sporca e maledetta etc…) è sempre concettualmente sbagliata. Non ci potrà essere mai vantaggio strategico sul campo che possa compensare la perdita di vite umane “fuori campo”, dove gli effetti collaterali rischiano di causare danni esponenziali mai espediti prima d’ora.
La seconda considerazione è più filosofica e probabilmente più “ostica” e meno immediata da collegare alla fame nel mondo. Ci troviamo a vivere in un mondo dove, paradosso dei paradossi, uno smartphone è ormai a portata di tutti, ma dove si continua a morire incredibilmente di fame. E tutto ciò, si noti, anche prima dell’aggressione russa all’Ucraina o della pandemia…Allo stesso tempo, in un mondo parallelo, i paesi ricchi si ritrovano a fare i loro conti ciclicamente con i nodi al pettine da sciogliere. Che, ora si chiamano Putin, qualche tempo fa si chiamavano Bashar al Assad in Siria e prima ancora Haftar in Libia oppure l’Isis e il Califfato Islamico, in Medio Oriente. E così via, ad ogni stagione il suo antagonista. Per ogni “serie” il suo protagonista: il buono di turno, il brutto (c’è sempre un brutto) e il cattivo. In una linea temporale scandita da una certa “ripetitività circolare” si ripresentano, mutatis mutandis, facce diverse per problemi simili. A scanso di equivoci: di questi tempi è quasi doveroso puntualizzare che il cattivo vive nei pressi del Cremlino e si nutre (pare) oltre che della paura del suo popolo anche della sua frustrazione di non essere più Impero.
E l’Occidente ? The west is the best, diceva, non senza maligna ironia, il poeta… l’occidente vivacchia, insulso e borioso della sua superiorità (economica, culturale, intellettuale, politica etc etc .) e di tanto in tanto si vede costretto a far fronte a quello che non ha (forse mai) capito fino in fondo: che il Mondo non è ad immagine e somiglianza di come l’hanno creato l’America e i suoi padri nobili Europei. Non tutto almeno e nemmeno la maggior parte di esso. Che non lo voglia capire, per tornaconto personale? Terreno scivoloso dei complottisti. Me ne rendo conto.
E allora eccoci qua, ancora una volta a fare i conti con le nostre “solite” (quelle si’) idiosincrasie occidentali, con una novità importante da tenere sotto osservazione: se Dio già da qualche centinaio d’anni è morto (fin dai tempi di Friedrich Nietzsche), sembra invece farsi ormai strada l’alba dell’uomo onnipotente, l’ubermensch, l’uomo che finalmente, senza troppi distinguo, si fa Divinità. Concetto peraltro già storicamente travisato dal nazismo, con conseguenze a dir poco catastrofiche.
Un nuovo ritratto dell’uomo pare delinearsi all’orizzonte, qualcosa di già visto ma con qualche peculiarità che è figlia dei nostri tempi: un uomo volto alla ricerca dell’immortalità, dell’infallibilità e del potere manipolatore sopra ogni cosa, che spinge la tecnologia agli estremi, che decide ormai per se stesso e che non si riconosce più all’interno di una comunità, sia essa nazione che classe sociale, un uomo binario e manicheo (“bianco o nero”), alla costante ricerca del tipo di informazione che più gli si confà (le fake news) e che, lasciando da parte, ogni processo razionale torna deliberatamente in una sorta di medioevo dell’anima … ma stavolta tutto nuovo.
In questo nuovo mondo non c’è più Dio ad incutere paura, non ci sono leggi cui dover sottostare, non c’è morale e nemmeno razionalità con cui dover fare i conti. Nel suo nuovo mondo artificiale, fatto a sua immagine e somiglianza, l’umanità finalmente si sveglia la mattina e si prepara a vivere la sua realtà virtuale nuova di zecca, all’interno dei Social… Lì, negli eoni inespressi della realtà simulata, nasce (e muore) la nuova religione dell’uomo che si fa Divinità ad ogni nuova buona occasione.
Fino a quando ci sarà ancora di che sfamarsi, sarà questo il banco di prova dell’uomo occidentale … un uomo che si accontenta di sapere niente, o poco e anzi! meno sa, meglio si aggrada.
Con buona pace di Socrate… e anche del buon senso di mia Nonna.
Prepariamoci al peggio.
Gianvito Pipitone
La corda Pazza “Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d’orologio in testa. La seria, la civile, la pazza.” Così parlava Ciampa, lo scrivano del “Berretto a sonagli”. La corda civile per stare con gli altri, per accomodare la quotidiana finzione del saper vivere; quella seria per offrire le proprie ragioni, esaminarle, difenderle. Ma quando tutto questo non basta più, quando si strappa il pirandelliano “cielo di carta” allora non resta altro che sferrare la corda pazza: “Non ci vuole niente, sa, signora mia, non s’allarmi! Niente ci vuole a fare la pazza, creda a me! Gliel’insegno io come si fa. Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza…” G. Savatteri
L’autore: Gianvito Pipitone da 20 anni export manager nel mondo del vino, scrive per passione dai tempi dell’Università. Ha autoprodotto un romanzo (Montagne della Meta, 2009), una raccolta di racconti “del Novecento” (Pecore al buio, 2017) e da novembre 2020 cura un blog (www.BarryLyndon75.it) inseguendo i suoi molteplici interessi: geopolitica, storia, letteratura, musica etc. Vive con la sua famiglia (due bellissimi pupetti: Flavio e Matilde) alle pendici dell’Etna, sospeso fra il Cielo, il Mare e la “Muntagna”.