Gli ultimi due anni di pandemia ci hanno fatto vivere in maniera più amplificata le tante perdite di personaggi noti. Da Franco Battiato a Gino Strada da Raffaella Carrà a Carla Fracci, la vita dei grandi artisti ci appartiene, la facciamo nostra perché tocca le pagine della nostra vita.
Il Paese deve dire addio ad una grande attrice del Cinema Italiano e mondiale: Monica Vitti. Sparita dalle scene troppo presto, a causa di una malattia neurodegenerativa, è vissuta e vivrà sempre nei film che l’hanno consacrata come interprete drammatica e icona della commedia italiana.
A pensarci bene Monica Vitti, con la sua immensa capacità istrionica, sul set ha rappresentato il vero cambiamento storico della donna italiana, già primordialmente iniziato con il neorealismo, impersonando la donna che abbandona il suo ruolo di sottomissione per mettersi a nudo e raccontarsi nella sua intimità: una donna che mostra le sue angosce, le sue paure, l’isterismo che porta all’amore malato, la passione più potente e la gelosia più accecante, senza pensare al giudizio della società, ma anzi affrontandolo a viso aperto.
Da “L’avventura”, Vitti porta la donna ad essere il centro su cui ruota una narrazione, ed è una femminilità che si manifesta non solo in una dimensione psicologica molto contorta (si pensi a “Flirt” o a “La Ragazza con la Pistola” o a “Io so che tu sai che io so”), in cui vengono messe in risalto tutti i sentimenti della donna moderna, che attraversa la conquista del divorzio, della legge sull’aborto, dell’abrogazione del reato di adulterio e del delitto d’onore.
Ma indubbiamente la Vitti ha tracciato un cambiamento persino estetico della femminilità iconicamente intesa, già avviato da un’altra grande attrice, Anna Magnani. Un mutamento definitivo quello della Vitti e della sua bellezza non convenzionale, spesso spettinata, con gli occhiali, una bellezza che aggrediva lo schermo, che divorava lo spettatore.
Se nel tempo le attrici italiane (Margherita Buy, Alba Rohrwacher, Anna Foglietta, Valeria Bruni Tedeschi, per citarne alcune) hanno abbandonato quella perfezione fisica oggi appannaggio delle influencer che tutto sono fuorché modello per le giovani, con foto decisamente filtrate, tanto lo si deve a Monica Vitti.
E lei lo esternava chiaramente: “Le attrici, diciamo bruttine, che oggi hanno successo in Italia lo devono a me. Sono io che ho sfondato la porta”, diceva. Se dalla sua finestra su Roma si fosse accorta del mondo che silenziosamente ha vissuto accanto al marito Roberto Russo, dai primi del 2000 ad ora, non sarebbe stata contenta dei tanti passi indietro compiuti dalla società come riflesso della classe politica che ci governa.
Cosa avrebbe pensato Monica Vitti di un registro dei bambini mai nati in una città come Marsala, dove il personale sanitario è al 100% obiettore di coscienza? Cosa avrebbe detto delle quote rosa, messe lì per sopperire alla mancanza di una scarsissima meritocrazia e di un retaggio di tipo patriarcale, del fatto che nel 2022 non si riesce ad eleggere una donna Presidente della Repubblica, dell’escalation dei femminicidi, lei, proprio quella Raffaella che nel cult “Amore mio aiutami”, benché schiaffeggiata dal marito Giovanni, non si erge a vittima ma anzi combatte l’infelicità con tutte le sue forze.
Monica Vitti diceva: “Dicono che il mondo è di chi si alza presto. Non è vero. Il mondo è di chi è felice di alzarsi”. Dovremmo essere come lei, felici, ma per fare ciò è necessario tornare a lottare.