E’ uno dei volti e profili più autorevoli, tra i suoi colleghi, ad apparire in questo periodo in tv, a confrontarsi sui temi del Covid e dei vaccini. Sergio Abrignani, originario di Marsala, fino ai primi anni ‘90, è stato responsabile del laboratorio di virologia e direttore di Unità del Centro Ricerche Ciba a Basilea per poi approdare, fino al ‘99, al Dipartimento di Immunologia e Virologia della Chiron Vaccini a Siena in qualità di responsabile, ricoprendo altresì il ruolo di vice presidente di Ricerca e Sviluppo della Chiron Corporation a San Francisco (USA), una delle più importanti aziende mondiali di biotecnologie. Dal 2006 è Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare (INGM) “Romeo ed Enrica Invernizzi” di Milano e, tra le attività di rilievo, è anche membro del Consiglio Superiore di Sanità. Sua una delle più importanti scoperte sull’Epatite C, una patologia ancora oggi molto pericolosa e diffusa. Abbiamo intervistato Sergio Abrignani in questa “nuova fase” del Covid, fatta di preoccupazione, di frustrazioni ma anche di speranza.
All’inizio della pandemia avete messo a disposizione i vostri laboratori per una migliore mappatura del virus. Secondo lei c’è qualcosa che è sfuggito di mano e qualcosa che invece ha funzionato?
Tutto il mondo si è trovato davanti a qualcosa che non aveva mai visto prima, una pandemia con, ancora oggi, fino a 15-20mila morti al mese. Le cose sì, potevano essere fatte meglio in passato, col senno di poi. Il punto adesso è: stiamo facendo le cose giuste? Secondo me sì. La comunità scientifica mondiale sta identificando tutte le varianti del Covid, come quelle sorte in Inghilterra o in Sudafrica, varianti che vengono identificate e mappate in un tempo relativamente breve.
Lei fa parte del Consiglio Superiore di Sanità. Vi occupate di studi, indagini scientifiche. Come intervenite nei confronti del Governo e del Ministero della Salute? E’ interessante avere una visione “dall’alto”.
Il Consiglio Superiore di Sanità è un organo consultivo, ci consultano attraverso dei quesiti che arrivano regolarmente dal Ministero della Salute, dal Governo e da altri ministeri. Siamo 30 membri suddivisi in 5 sezioni; io sono nella sezione I, dove arrivano i quesiti sulla pandemia; agiamo in base, come si suol dire, a “scienza e coscienza”, ovvero in base alle conoscenze disponibili in quel momento, cercando di dare risposte, le più scientifiche possibili, non semplici opinioni ma fatti e sui fatti, elaborarne le risposte. Ovviamente non è sempre tutto così facile, ci sono delle situazioni scientifiche che si prestano a diverse opzioni, non si può sempre rispondere con “sì” o “no”, a volte bisogna articolare ed è questa la complessità di chi deve dare un parere. Poi spetta ai politici decidere. Non tutti la vediamo allo stesso modo, la scienza è fatta così. “Scienza esatta” infatti, lo diventa, dopo aver studiato, aver lavorato. Stiamo parlando di un uragano iniziato 11 mesi fa, con i primi due cinesi arrivati in Italia il 31 gennaio e i primi malati italiani dal 18 febbraio; come tutte le cose che stanno avvenendo ci può essere inesattezza, perché lo si sta studiando mentre sta avvenendo. Non c’è il distacco giusto per vedere le cose.
Di certo nel Covid-19 c’è l’origine naturale (o animale) e sappiamo che non è una semplice influenza. Che differenza c’è tra il rapporto di trasmissione del Covid e quello dell’influenza?
Innanzitutto, influenza e Covid si prendono quando si è asintomatici, cioè quando non si sa di essere stati infettati. Questo è un problema, perché la gente si infetta stando a contatto con una persona apparentemente sana. La differenza sta nel fatto che con l’influenza si hanno i sintomi tipici, mentre con il virus Sars Cov 2 molti sono asintomatici, gli altri si ammalano e l’1% muore. Entrambe sono infezioni acute, ma il virus influenzale muta molto di più, ecco perché ogni anno c’è un vaccino diverso. In termini numerici, il virus Sars Cov 2 muta 1 logaritmo e mezzo quasi 2 in meno rispetto al virus influenzale. E questo è un bene perché non si dovrà cambiare vaccino ogni anno.
L’infezione, lei ha dichiarato, che si può “auto-risolvere” grazie al sistema immunitario di ognuno di noi. Nell’influenza non si parla di una asintomatologia. Perchè quindi ci sono così tanti “asintomatici” nel Covid? E’ un caso raro?
Ci sono altri virus con asintomatologia; ciò vuol dire che il nostro organismo si abitua al virus e lo considera un “commensale” e non provoca danni. Il sistema immunitario riesce a risolvere l’infezione in un periodo che va da 8/10 settimane massimo. Quell’1% che muore è una risoluzione tragica. Non c’è mai però una cronicizzazione dell’infezione come invece c’è nell’Epatite C, nell’Epatite B o nell’HIV, che sono abituati a vivere nell’organismo, a procurare malattie che durano decenni e ad essere molto mortali. Quindi il Covid lo definirei un “virus mediamente stupido” perché muta poco e dà solo infezioni acute, ecco perché è stato facile fare un vaccino. Indubbiamente per i soggetti fragili, gli ultra 70enni che hanno già altre patologie, il Covid è pericoloso. Tant’è che l’80-90% dei morti è in questa fascia di età. Chiuderemo il primo anno del virus a febbraio probabilmente con circa 85mila morti, un numero spaventoso considerato il lockdown, le zone rosse e arancioni. In pratica lo stesso numero di morti che la Seconda Guerra Mondiale ha registrato ogni anno in Italia dal ‘40 al ‘45, l’episodio storico più tragico nel nostro paese in 500 anni.
Oltre a pandemia ed epidemia, si parla di Covid in termini di “approccio sindemico”. Quanto hanno influito i fattori sociali nella diffusione del virus?
Di approccio sindemico del Covid se ne parla dal punto di vista della malattia. Perchè i morti di Covid hanno altre patologie come diabete, ipertensione, insufficienza renale, ecc. Infatti nei Paesi con una popolazione più giovane come nel Centro Africa, non c’è mortalità da Covid. Mentre nei paesi occidentali con una aspettativa di vita media di 80-85 anni, la mortalità è più alta. Se ci pensiamo bene, l’1% di 60milioni è 600mila morti. Un numero spaventoso. La sindemia quindi dipende dal fatto che abbiamo una popolazione in età avanzata, persone con patologie che, grazie alla medicina moderna, riesce a vivere più a lungo. Altro fatto scatenante è l’obesità, un fattore socialmente evitabile, dovuta ai nostri stili di vita scorretti.
Lei ha detto che per un vaccino solitamente ci vogliono diversi anni ma che investimenti e tanto lavoro stanno portando ad una svolta epocale.
Quando mi chiedevanoquanto tempo fosse necessario per un vaccino, io, pensando di essere ottimista, dissi ‘non prima della fine del 2021’. E invece con uno sforzo enorme da parte di tutti lo abbiamo avuto alla fine del 2020. Posso assicurare che avere un vaccino in così pochi mesi è qualcosa di incredibile, non solo a livello economico ma anche a livello tecnologico. Questo si studierà nei libri di storia.
Si parla di vaccini oltre che da Pfizer, anche da Moderna, da Sinovac, dall’Università di Oxford ed altre aziende. E’ possibile che tre vaccini diversi che si basano su tre tecnologie diverse siano riusciti ad arrivare a un risultato unico e così alto? Cosa è successo in questi mesi?
Una tipologia di vaccini è già arrivata nel giro di 10 mesi, ovvero i vaccini a RNA di Pfizer e Moderna; un’altra tipologia di vaccini che arriveranno nel 2022 sono quelli di Sanofi, a base di proteine ricombinanti e poi ci sono i vaccini a base di vettori adenovirali come quelli di Astrazeneca e di Johnson & Johnson che non sono ancora registrati ma che dovrebbero esserlo entro i primi sei mesi del 2021. Quello di AstraZeneca è stato approvato nel Regno Unito ma non in Europa né in America, dove le due agenzie regolatorie, EMA e FDA, hanno chiesto più dati da visionare, dimostrando un alto livello di scrutinio, a conferma che se un vaccino viene autorizzato è perché passa attraverso i controlli di sicurezza più rigorosi. La scelta politica che ha fatto la Commissione Europea la scorsa estate, è stata quella di opzionare 1,2 miliardi di dosi di 6 diversi vaccini prodotti con tre tecnologie diverse, anche se tutti vogliono indurre una sola cosa, una forte risposta immunitaria contro la Spike (la parte esterna del virus). I 6 vaccini – ne arriveranno in Italia 210 milioni – sono a base di RNA, di proteine ricombinanti o di vettorie adenovirali. Come detto, i due a RNA (Pfizer e Moderna) sono già stati autorizzati e copriranno fino a 60 milioni di dosi entro l’anno e poi arriveranno gli altri, come quelli a base di adenovirus di Johnson & Johnson o di Astrazeneca di cui sono state commissionate rispettivamente 54 milioni e 40 milioni di dosi, quello a base di proteine ricombianti di Sanofi con altre 40 milioni di dosi. La Commissione Europea ha comprato a scatola chiusa 6 tipi di vaccini (di tre tipologie) prima di conoscere l’effettiva funzionalità, ma l’emergenza pandemica era ed è tale che valeva la pena rischiare qualche decina di miliardi di euro.
Facendo dei rapidi calcoli, per vaccinare oltre il 60% della popolazione italiana bisogna arrivare ad oltre 200mila vaccinazioni al giorno altrimenti ciò richiederebbe anni. Questo vi preoccupa?
E’ una bella sfida, nessuno al mondo ha mai vaccinato tutta la popolazione. Ogni anno si vaccinano i bambini appena nati e la fetta di popolazione anziana contro l’influenza. Per raggiungere la cosiddetta “immunità di gregge” occorre vaccinare almeno il 70% degli italiani; 70% per 60 milioni è 42 milioni. Siccome al momento il vaccino viene inoculato in due dosi, occorre fare 84 milioni di iniezioni, tantissime. Quindi bisogna partire da ora con 200mila vaccini al giorno per arrivare in un anno, un anno e tre mesi all’immunità di gregge. Guardando ai dati italiani, già sono stati vaccinati centinaia di migliaia di persone e si proseguirà; peraltro in Europa, l’Italia non è ultima. La Germania ha fatto un po’ meglio di noi, ma la Francia, la Spagna sono tutte dietro. Bisogna fare meglio, ricordando che è la prima volta che si fa una cosa del genere. E’ giusto che ci sia un periodo di rodaggio, che non potrà essere superiore a qualche settimana; spero che per fine gennaio si partirà con le 200 immunizzazioni al giorno.
Aprendo una finestra sulle sue scoperte, il recettore del virus dell’epatite C, lei ha studiato un vaccino. A che punto è la sperimentazione?
L’Epatite C è il peggiore virus su cui adottare un vaccino. E’ Come l’HIV, muta tantissimo, 2-3 logaritmi in più della Sars e ha sviluppato una serie di meccanismi per ‘prendere in giro’ il nostro organismo. Non c’è un vaccino per l’Epatite C ma abbiamo dei farmaci efficaci che curano al 90% i pazienti. Io ho lavorato 10, 12 anni al vaccino. Il recettore è stato importante scoprirlo perché abbiamo capito come il virus entrava nelle cellule umane. Sono convinto che quello che abbiamo fatto servirà in futuro a qualcun altro che magari ne scoprirà un vaccino, perché la ricerca è fatta così, di tanti mattoncini, non si sa mai chi è che metterà l’ultima pietra. Però è bello così.
Ci sarà un dopo Covid che al momento ci sembra lontano. Quale sarà il suo post-pandemia da medico, ricercatore, da direttore scientifico. Su cosa ha già messo mani e testa?
Quello a cui si dovrà lavorare è un vaccino contro tutti i Coronavirus. In questo secolo c’è stato un salto di specie dei Coronavirus. Questi tipi di Sars infatti, vivono nei pipistrelli ed è stato dimostrato per ben 3 volte in 20 anni – nel 2002 con il Sars Cov 1, nel 2012 con la Mers e a fine 2019 con il Sars Cov 2 – che riescono a saltare dai pipistrelli ad un ospite intermedio, che nel 2002 era lo zibetto, nel 2012 il dromedario e ora per il Covid si parla del pangolino (formichiere squamoso, ndr) e da questi saltano all’uomo. E’ probabile che tra 10-15 anni avremo un altro salto di specie e quindi un altro Coronavirus che dal pipistrello salterà in un altro ospite intermedio e da questo all’uomo. Se saremo fortunati sarà come il Sars Cov 1 o la Mers, in cui si è infetti solo da sintomatici e più facilmente controllabili, con un nuovo Covid come adesso con un gran numero di asintomatici avremo problemi… oppure potrà andare peggio, il prossimo virus potrebbe essere anche più potente. Ecco perché dobbiamo trovare un vaccino per tutti i Coronavirus e la comunità scientifica si sta già mobilitando. Partendo dal presupposto che le condizioni non sono cambiate, c’è sempre la promiscuità con gli animali selvatici in Cina, ci sono gli allevamenti intensivi, si pensi all’abbattimento dei 17 milioni di visoni in Danimarca per una mutazione del Covid. I filmati mostrano migliaia di visoni che respirano uno su l’altro. Questo vuol dire che centinaia di migliaia di essere viventi hanno elaborato nuove variabili del virus, che più si replica, più muta.
[ claudia marchetti ]