Chi potrebbe conoscere, oltre al futuro, il più lontano passato? All’inizio lui, senza volto, c’era già, prima ancora che mari terre e cieli facessero la loro comparsa nel mondo. Poi, quando acqua terra e fuoco non vollero più stare insieme e iniziarono ad essere il mare la terra e il cielo, parti distinte del cosmo, allora anche lui acquisì un aspetto degno di un dio. Non sembrava avere né davanti né dietro, sulla testa mostrava due volti, posti l’uno nel verso contrario dell’altro. Questo fatto era segno che lui vigilava sullo spazio nel quale regnava, perché poteva vedere sia davanti che dietro. Era il dio di tutti i passaggi (iani), di ogni tempo che porti a un altro tempo e si chiamava Ianus, Giano.
Un dio antico, dunque, non greco, ma italico, latino: abitava su un colle di Roma, il Gianicolo – una collina coperta allora di querce – e da quel colle si dispose a guardare l’inizio del tempo e dello spazio di Roma. Dio della porta (ianua) e dei passaggi di luogo, dei collegamenti, delle soglie, dei varchi, dei sottopassi e dei vicoli. Dio di qualunque cosa ne mettesse in comunicazione altre due. Dio degli inizi: che dette il suo nome al primo mese dopo il solstizio d’inverno, poi divenuto primo mese dell’anno, Ianuarius, di Giano, il nostro Gennaio. Dio con due teste, bifronte: una volta a oriente, dove tutto comincia e una a occidente, dove tutto si compie; con una fronte scrutava l’antico, con l’altra costruiva il nuovo. Dio dei bivi e delle scelte, il cui tempio era chiuso quando Roma era in pace ed era invece spalancato quando Marte irrompeva a spezzare vite e destini, finché i soldati, salvi e possibilmente trionfanti, non sarebbero rientrati a casa. Domi, a casa: così si diceva per indicare lo stato di pace.
Ciascun uomo, nel suo cammino lungo la vita si lascia man mano il tempo passato dietro le spalle e ha quello futuro davanti. All’avvenire può andare incontro, oppure può stare fermo ad aspettare che arrivi, questione di indole e di coraggio. Ma quando si tratta di volerlo conoscere è come averlo di dietro, nascosto: non può vederlo e non sa cosa lo aspetta. E quanto al passato, benché gli stia davanti agli occhi, l’essere umano non ha lunga vista, né sempre buona. E allora noi uomini, cosa potremmo chiedere a Giano? Di guardare lontano, di portarci via dal dolore, dalla malattia, dalla morte, dall’ingiustizia. Da fiumi di parole insensate, da lacrime e speranze tradite. Ma nell’oblio non c’è salvezza; solo tenendo vivo il passato dentro di noi possiamo costruire un futuro diverso e quante cose di questo anno appena passato non dobbiamo dimenticare.
Per esempio, il significato autentico di “cura”, che non è solo attenzione per il dettaglio, per le piccole cose, non è solo un tipo particolare di sguardo sul mondo, sulle cose, sulle azioni che si fanno. Anzi, solo con questa qualità di attenzione chi pratica la cura può provare davvero a promuovere nell’altro la possibilità di attualizzare il suo essere più proprio. Quindi “cura” è anche assistenza premurosa, protezione sollecita, riguardo, vigilanza. Il principio dell’anno è dunque il momento, per eccellenza, in cui si pensa in positivo al futuro.
Dedico quindi a me stessa e a noi tutti una massima di Seneca per vivere al meglio questi nuovi dodici mesi: vindica te tibi, rivendicati a te stesso. Raccogli e conserva il tempo che sino ad ora ti è stato portato via oppure hai perso tu stesso. Fanne tesoro e investilo per costruire le relazioni importanti della tua vita. Qualunque cosa ci aspetti nel 2021, la forza che ci serve per affrontarla la attingeremo dalle ferite di questo annus horribilis appena concluso.
[ Manuela Randazzo ]