La furbizia di Musumeci e il dovere di ripensare l’identità siciliana

Vincenzo Figlioli

La furbizia di Musumeci e il dovere di ripensare l’identità siciliana

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martedì 19 Maggio 2020 - 12:43

Che Nello Musumeci sia un politico di grande furbizia lo dimostra, ancora una volta, la vicenda dell’assessorato regionale alla cultura e all’identità siciliana. Dopo aver annunciato che sarebbe stato assegnato a un leghista, ha assistito con pazienza alla sollevazione popolare (sul web, naturalmente) di migliaia di siciliani, che hanno mostrato tutta la propria indignazione con appelli, slogan e prese di posizione variamente argomentate.

La Lega, notoriamente, c’entra con la Sicilia come il parmigiano su un piatto di pasta con le cozze. Anzi, la storia del Carroccio nasce proprio da una narrazione antimeridionalista che ha toccato vette particolarmente becere nelle stagioni dei Bossi e dei Borghezio. Poi, notoriamente, i leghisti hanno strategicamente cambiato i destinatari dei loro insulti e della loro propaganda, passando dai meridionali agli immigrati, cominciando (a mio avviso, inspiegabilmente) ad ottenere consensi crescenti anche da Roma in giù. Ancora pochi, in verità, fino alle regionali del 2017, che premiarono la coalizione di Musumeci di cui facevano parte anche loro. Ma, finchè Miccichè ha posto il suo veto, per il Carroccio non c’è stato spazio nel governo regionale. Poi la Lega è diventata il primo partito italiano, è scoppiata la pace con Salvini, i soliti transfughi hanno cominciato ad aderire al Carroccio costituendo un nuovo gruppo parlamentare all’Ars e Musumeci ha steso il tappeto rosso.

Sarebbe stato facilissimo lapidare mediaticamente il presidente della Regione se, nell’individuare il successore del compianto Sebastiano Tusa, avesse designato un bergamasco o un trevigiano indicato dal Capitano o un qualunque simpatizzante del Carroccio. Ma Musumeci, come dicevamo, è un uomo di grande furbizia politica. Così, dopo aver incassato attacchi e richieste di dimissioni social, ha spiazzato tutti, scegliendo un giornalista siciliano, Alberto Samonà, a cui sicuramente non si può rimproverare la scarsa conoscenza dei beni culturali siciliani. Samonà, peraltro, è una figura colta, ben inserita mediaticamente, vicina alle logge massoniche e con amicizie trasversali. Ma siccome il trasformismo non è un’arte praticata solo in politica, è facile immaginare che tanti feroci contestatori dell’assessorato assegnato alla Lega siano andati già a riprendere i propri contatti con Samonà, riferibili alle sue esperienze editoriali o ai vari uffici stampa che ha curato (tra cui quello per le Orestiadi di Gibellina di pochi anni fa). Si voleva una persona competente e siciliana purosangue al posto di Tusa? Eccolo servito.

Ora, è chiaro che Samonà abbia scelto di accettare per puro calcolo strategico la proposta di Salvini come responsabile della cultura in Sicilia per conto della Lega. I fatti dicono che la sua scelta si è rivelata avveduta. La sua appartenenza alla destra siciliana sono arcinote, ma ha scelto la Lega per la teoria dell’occupazione degli spazi vuoti. All’interno di Diventerà Bellissima o di Forza Italia avrebbe avuto più difficoltà. Magari tra un po’ passerà con la Meloni, se i sondaggi glielo consiglieranno. O al prossimo governo di centrosinistra ce lo ritroveremo con Italia Viva o il Pd. Del resto, il sindaco di Furci Siculo Matteo Francilia, in pole position fino a domenica e poi superato proprio da Samonà per l’assessorato ai beni culturali, si era candidato nel 2017 con la coalizione che sosteneva Fabrizio Micari.

Che si fa a questo punto? Si attacca Samonà perchè, comunque, è leghista? Perchè (forse) è stato massone? Per le sue frasi sul 25 Aprile? Si può, sicuramente. Ma quello che continua maledettamente a mancare è la capacità di costruire un’alternativa politica e culturale in Sicilia. Non si può impedire a un governo di destra, guidato da un “fascista perbene” (cit. Francesco Merlo) di nominare un assessore di destra e non ostile all’ideologia fascista.

Ma se si crede in un modo diverso di intendere la politica c’è, piuttosto, il dovere di abbandonare i trasformismi che hanno travolto i vari tentativi di alternativa politica proposti negli ultimi anni, fino al governo Crocetta. Occorre parlare un linguaggio nuovo, a partire proprio dall’identità siciliana: che non è fatto solo di templi, teatri antichi e barocco, ma anche di paradisi naturalistici stuprati dall’abusivismo; di centri storici degradati e violati dalle speculazioni edilizie; di periferie e terreni agricoli abbandonati. E poi c’è quell’immenso patrimonio civile e umano che comprende Portella della Ginestra, Ignazio Buttitta, Renato Guttuso, Leonardo Sciascia, Franco Battiato, Andrea Camilleri, il movimento antimafia, i giornalisti, i magistrati, le forze dell’ordine e i sindacalisti uccisi dalla mafia. E poi di quelle migliaia di ragazzi che ogni anno lasciano la Sicilia per affermarsi in altre regioni o in altri Stati senza che si faccia nulla per farli tornare. La sfida da lanciare, proprio a partire dalla cultura e dall’identità siciliana, si gioca tutta qui e va condotta soprattutto con credibilità e in maniera corale. Viceversa, saremo sempre terra di conquista e facile preda per i vecchi e i nuovi gattopardi.

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