Quando tutto questo sarà finito non dimentichiamoci di questa paura, di questo senso di vanità del superfluo. Chiusi nelle nostre case, divisi tra la paura che attanaglia la gola e la necessità di trovare spazi di sorriso, di musica, di vita, per salvarci la vita stessa, tutti noi stiamo scoprendo/subendo nuovi ritmi. Fino a pochi giorni fa tutti eravamo presi da una corsa frenetica tra lavoro, impegni familiari, commissioni, acquisti necessari. Tutto appariva fondamentale, non procrastinabile per nessuna ragione. Questa sciagura che ha investito il mondo intero, ha ribaltato tutto. Per salvarci dobbiamo rinunciare a tutto. Spegnere la frenesia del tempo, tornare alla semplicità della casa, della cucina, a guardare in faccia i nostri familiari. Ci ha obbligato a fermarci, cosa che era assolutamente impensabile fino a poche settimane fa. Il Paese Italia – che non è mai uscito veramente dalla crisi del 2008 – si trova a fronteggiare un’emergenza dolorosa quanto una guerra. Tali sono i numeri dei caduti. Per la prima volta dall’Unità d’Italia, si parla tristemente di un fenomeno che potrebbe essere definito “questione settentrionale”.
Che l’Italia sia da sempre un Paese spaccato in due, a due velocità, è cosa nota, ma questa tragedia ha messo in ginocchio il nord e, a giudicare dalla fiumana inconsciente di rientri, la situazione oggi è terribilmente rischiosa anche al Sud. Ma rassicura il fatto che la Cina sta uscendo da questo male tremendo. Anche l’Italia ce la farà, allora. Però di certo dovrà reinventarsi come Paese. Smettere di correre forsennatamente non si sa bene verso dove e scegliere – come sta facendo ora la Rai – di ripensare la propria programmazione puntando su cultura e salute accessibili per tutti. Tutti questi ragazzi che senza accortezza sono tornati dalle città universitarie, nelle quali si trovavano per scarsa fiducia nelle possibilità del futuro della propria Regione, dovranno/potranno pensare con maggiore lucidità che fare della propria vita. Questa guerra ci richiama ad un salto verso la consapevolezza, verso l’abbandono degli egoismi e dei beceri protagonismi che hanno prodotto una classe dirigente che ha comandato settori di un Paese povero di strutture, di ospedali, di opportunità. Non basta tornare alla normalità. Bisogna crearne una nuova, dove la meta sia chiara e le regole della corsa siano condivise. Ora bisogna farla sul serio l’Italia, poi toccherà all’Europa.