Personalmente sono sempre stato tra quanti pensano che non si dovrebbe valutare una tornata elettorale amministrativa o regionale con i paradigmi della politica nazionale. Se, dunque, Bonaccini è riuscito a farsi rieleggere alla presidenza dell’Emilia Romagna, il merito è di un’azione amministrativa che è stata dai più apprezzata. E se Salvini ha perso, è stato principalmente perchè ha cercato di trasformare il voto di domenica in un referendum sul governo Conte, senza proporre un’alternativa realmente credibile alla guida della Regione. Gli emiliano-romagnoli hanno troppo rispetto per la propria terra e la propria storia per lasciarsi traviare da tormentoni mediatici (“parliamo di Bibbiano”) o sortite da spaccone (l’ormai famosa citofonata al quartiere bolognese del Pilastro) che poco hanno a che vedere con una proposta di governo del territorio. Tuttavia, dal voto di domenica emerge anche qualche aspetto interessante su cui ragionare in maniera più articolata. Quello che probabilmente meriterebbe maggiore attenzione riguarda il rapporto tra la sinistra e le piazze. Per tanto, troppo tempo, i dirigenti progressisti hanno evitato di misurarsi con il proprio elettorato nei tradizionali luoghi del confronto, rintanandosi in luoghi protetti in cui limitare al minimo il rischio di cattive figure o contestazioni. Hanno preferito i teatri, gli hotel, le aziende, i cosiddetti luoghi dell’Italia “che funziona”, riducendo il ruolo dei referenti territoriali a meri organizzatori di dibattiti blindati ed eleganti e facendo di fatto saltare il principio di mediazione che dovrebbe essere alla base del rapporto tra rappresentanti e rappresentati. Tutto ciò ha però allontanato la classe dirigente dal proprio elettorato fino al paradosso che i nuovi e i vecchi militanti hanno cominciato a percepire i segretari politici, i parlamentari e i coordinatori locali come un’elite da combattere, piuttosto che come punti di riferimento attraverso cui realizzare un’idea di società più equa e giusta. Di questo vuoto hanno approfittato i 5 Stelle e la Lega, che hanno accresciuto in misura esponenziale i propri consensi. C’è voluto il rischio di ritrovarsi Salvini alla guida dell’amata Emilia Romagna per interrompere questa sciagurata tendenza. Ma, soprattutto, c’è voluta la forza e la vitalità di un gruppo di giovani, che ha riportato in piazza (e alle urne) un’importante fetta dell’elettorato di sinistra che negli ultimi anni aveva preferito il voto di protesta o l’astensionismo. Segno di una richiesta di cambiamento che, se abbinata ad una proposta fatta di autorevolezza e competenza, potrebbe riportare la maggioranza degli italiani a fidarsi di quest’area politica. A meno che non fosse solo una strategia per scongiurare il peggio e da riporre in un cassetto a risultato ottenuto. La sensazione è che il contributo del popolo delle sardine, riconosciuto a chiare lettere dal segretario del Pd Zingaretti, possa costituire un reale punto di svolta nel rapporto tra rappresentanti e rappresentati su tutto il territorio nazionale. Per averne conferma, però, occorrerà aspettare quantomeno le amministrative della prossima primavera che anche in Sicilia, a partire da Marsala, potrebbero costituire un importante test sulla proposta politica che verrà.
Iniziative
dell’elettorato di sinistra che negli ultimi anni aveva preferito il voto di protesta