La Terza Sezione della Corte d’Appello di Palermo ha condannato per diffamazione il giornalista trapanese Rino Giacalone. I fatti risalgono al 2013 e, in particolare, a un articolo pubblicato sul sito di informazione Malitalia.it, in cui Giacalone definì il boss Mariano Agate, “un gran pezzo di merda”. L’articolo, di fatto, tracciava una biografia di Agate, soffermandosi in particolare sul suo curriculum criminale. Notoriamente considerato punto di riferimento di Totò Riina e dei corleonesi a Mazara del Vallo, Mariano Agate è stato condannato all’ergastolo per la strage di Capaci e per sei omicidi, tra cui quello del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto. Il suo nome era inoltre inserito nei registri della loggia trapanese Iside 2. Nel marzo 2013 ad Agate fu concesso di uscire dal carcere per gravi motivi di salute. Un mese dopo il decesso, nella propria abitazione. E proprio all’indomani della notizia, Giacalone scrisse l’articolo con la definizione “incriminata”, da cui è poi scaturita la querela nei suoi confronti della vedova Rosa Pace. Dopo l’assoluzione in primo grado, il successivo ricorso della Procura fu accolto dalla Corte di Cassazione nel novembre del 2017, che annullò il giudizio di primo grado.
Davanti alla Corte d’Appello, Giacalone ha reso dichiarazioni spontanee spiegando com’era maturato quel discusso passaggio all’interno del suo articolo: “L’ho fatto – com’è evidente – citando Peppino Impastato, attraverso il ricorso alla figura retorica della sineddoche: per criticare la mafia nella sua interezza, ho fatto incidentale riferimento a un suo componente”, ha detto il giornalista dinanzi la Corte presieduta dal giudice Dario Gallo. Adesso la sentenza di condanna per il giornalista trapanese, a cui i giudici hanno inflitto 600 euro di multa e il pagamento delle spese processuali. Il pg Francesca Lo Verso aveva chiesto la condanna a 4 mesi di reclusione. “Aspetteremo le motivazioni della sentenza e presenteremo ricorso in Cassazione contro questa decisione che riteniamo inaccettabile”, ha commentato l’avvocato Domenico Grassa.
“A questo punto – commenta Rino Giacalone – dovremmo aggiornare anche il nostro vocabolario visto e considerato che la Procura di Trapani ha ritenuto lesa la reputazione del signor Mariano Agate. Dobbiamo pensare di riscrivere il significato di reputazione considerato che oggi attiene a comportamenti che non erano certamente in uso al capo mafia Mariano Agate. Per non parlare poi del fatto che si è rovesciata una sentenza assolutoria pronunciata in primo grado in nome dell’articolo 21 della Costituzione”.