La
condotta Slow Food di Marsala si dichiara contraria al progetto Acqua.Sal. Con
una nota inviata agli organi di stampa, si evidenzia la vaghezza e l’approssimazione
del progetto. “E’ talmente vago che ognuno lo può interpretare come meglio
crede: per l’amministrazione comunale l’itticoltura all’interno dello Stagnone
potrebbe portare posti di lavoro, per Legambiente si tratta in progetto da
valutare tra cinque anni, al termine della sperimentazione, in termini di
miglioramento ambientale, per il professore Andrea Santulli è un’occasione
unica per sperimentare sulla produzione di microalghe no-food per la cosmesi e
la nutraceutica, per il Dipartimento Regionale della Pesca un modo per far
rivivere la pesca dello Stagnone attraverso l’allevamento nelle “fridde” delle
orate, con un forte ritorno economico per i salinari. Quando si dice un
progetto “multi-purpose”… La Condotta Slow Food di Marsala si pone
in contraddizione al progetto Acqua.sal. Stanziare 1.2 milioni di Euro per
capire se l’acquacoltura all’interno della Salina Genna di Marsala possa avere
una valenza economica per il territorio rappresenta una perdita di tempo e
denaro ai danni dello Stagnone di Marsala”.
Slow Food si sofferma sulle previsioni di spesa del progetto: “a grandi linee
più del 40% del totale va in consulenze e personale per la gestione delle
attività (l’ambiente ringrazia), un decimo alla ristrutturazione della salina
Genna (una salina privata che fino a qualche anno fa veniva utilizzata come
molo privato per piccole imbarcazioni), un altro decimo alla creazione di un
centro ambientale a villa Genna e il resto in strumenti, attrezzature e
comunicazione. Di fatto, alla tutela dello Stagnone viene dedicato il
ripopolamento passivo attraverso la regolamentazione (leggasi divieto) della
pesca sportiva; a quanto pare nè a Palermo nè in via Garibaldi a Marsala hanno
notizia dei danni causati da quella professionale e di frodo”. “Se lo scopo del
progetto è quello di comprendere se è possibile creare posti di lavoro con
l’itticoltura lagunare – aggiunge Slow Food – sarebbe bastato fare dei
benchmark con le varie realtà che operano nelle stesse condizioni
(l’acquacoltura estensiva si pratica già a pochi chilometri di distanza, a alle
saline di Trapani) e valutare il rapporto costi – benefici – impatto
ambientale. Se lo scopo del progetto è quello di ricostruire una salina privata
per intercettare dei finanziamenti pubblici e spacciarli per valorizzazione del
territorio, allora forse è bene dedicarsi ad altro. Lo sviluppo economico delle
saline dello Stagnone di Marsala non passa dall’itticoltura dopata con fondi
pubblici ma dalla sua destinazione naturale: il sale. Il sale marino di Trapani
è un Presidio Slow Food e il suo areale comprende anche le saline che ricadono
nel territorio di Marsala. E’ un prodotto unico e delicato che viene lavorato
in modo artigianale e in condizioni eroiche. Se si è in buona fede l’unico
progetto utile è quello che riguarda la continuità territoriale della
produzione di sale. Se non si è in buona fede si può continuare a pensare che
basta un posto bello per dare lavoro. Purtroppo non basta, bisogna essere anche
bravi”.
Iniziative