Terra bruciata intorno a Matteo Messina Denaro: 22 arresti in provincia di Trapani

redazione

Terra bruciata intorno a Matteo Messina Denaro: 22 arresti in provincia di Trapani

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giovedì 19 Aprile 2018 - 07:58

Sono 22, come preannunciato in mattinata, i soggetti coinvolti nell’operazione “Anno Zero”. Il primo, ancora latitante, è il boss castelvetranese Matteo Messina Denaro, il cui ruolo risulta ancora apicale sia nella gestione generale che nella risoluzione delle controversie interne alle varie ramificazioni territoriali del sodalizio criminale. Alle sue spalle del boss, alcuni esponenti di spicco di Cosa Nostra in Sicilia: il capomafia di Partanna Nicola Accardo, il reggente del mandamento di Castelvetrano Gaspare Como (cognato di Messina Denaro), il reggente del mandamento di Mazara Dario Messina, i componenti della famiglia mafiosa di Campobello Vincenzo La Cascia e Raffaele Urso. Dietro le prime file della criminalità organizzata, ci sono le seconde, rappresentate da Rosario Allega, Calogero Guarino, Leonardo Milazzo, Giuseppe Paolo Bongiorno, Vittorio Signorello, Antonino Triolo, Giuseppe Tilotta (Castelvetrano), Vito Bono, Filippo Dell’Aquila, Mario Tripoli, Angelo Greco, Andrea Valenti (Campobello), Marco Buffa, Bruno Giacalone, Giovanni Mattarella (Mazara). E’ invece accusato di concorso esterno il 32enne castelvetranese Carlo Cattaneo, nativo di Castelvetrano.

L’operazione “Anno Zero” è il frutto di una serie di indagini sviluppate nella provincia di Trapani dall’Arma dei Carabinieri, dalla Polizia di Stato e dalla D.I.A. sotto il coordinamento della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, opportunamente assemblate attraverso la lettura e valorizzazione sistematica dei vari filoni investigativi.

Le indagini hanno documentato le dinamiche associative dei mandamenti mafiosi di Castelvetrano e Mazara del Vallo, accertando il ruolo di vertice degli esponenti della famiglia Messina Denaro e dei suoi principali sodali, le gerarchie e i componenti delle principali articolazioni mafiose, il capillare controllo del territorio ed il sistematico ricorso all’intimidazione per infiltrare il tessuto economico locale.

L’operazione è il frutto di una serie di indagini sviluppate nella provincia di Trapani dall’Arma dei Carabinieri, dalla Polizia di Stato e dalla D.I.A. sotto il coordinamento della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, opportunamente assemblate attraverso la lettura e valorizzazione sistematica dei vari filoni investigativi.

In tale ambito, le indagini hanno permesso di documentare il ruolo di vertice operativo assunto da Gaspare Como, cognato del latitante, designato quale reggente del mandamento di Castelvetrano dopo un periodo di interregno conseguente agli arresti effettuati con le operazioni Eden ed Ermes (tra il dicembre 2013 e l’agosto 2015) che avevano colpito i principali esponenti dell’organizzazione, tra cui taluni membri del circuito familiare dei Messina Denaro.

Proprio la costante esigenza di avere un esponente familiare al vertice della struttura, imponeva al capo mafia latitante di incaricare il cognato, personaggio rimasto a lungo nell’ombra per quanto coinvolto in passato in vicende criminali, quale responsabile del mandamento di Castelvetrano a partire dai primi mesi del 2016.

Durante tale periodo, Como ha esercitato la sua leadership attraverso un ristretto circuito di sodali di provata affidabilità composto da Antonino Triolo, titolare di un’agenzia per pratiche automobilistiche a Castelvetrano; Vincenzo La Cascia, uomo d’onore della famiglia di Campobello di Mazara; Calogero Guarino, gestore di una frutteria in Castelvetrano; Vittorio Signorello, dipendente civile dell’aeroporto Trapani Birgi.

Particolarmente significativi sono stati gli esiti delle intercettazioni ambientali all’interno dell’agenzia di Antonino Triolo, luogo deputato a mascherare i riservati incontri tra quest’ultimo e Como, funzionali alla veicolazione delle comunicazioni con Nicola Accardo, capo della famiglia di Partanna di cui Triolo si è rivelato essere il principale braccio destro. In tale ambito si è avuta la conferma della centralità di Matteo Messina Denaro nelle dinamiche associative attraverso disposizioni impartite al cognato e a quest’ultimo giunte tramite Nicola Accardo, il quale si sarebbe occupato dello smistamento di “pizzini”.

In tale quadro, le intercettazioni in questione hanno rivelato l’esistenza di accese interlocuzioni in seno al mandamento di Castelvetrano tra esponenti della famiglia di Campobello e Castelvetrano sulla spartizione di proventi illeciti, per dirimere le quali si rendeva necessaria la forte presa di posizione di Gaspare Como, forte dell’investitura ricevuta dal cognato Matteo Messina Denaro per la risoluzione di ogni controversia sul territorio.

Tale scenario ha fatto da sfondo all’omicidio di Giuseppe Marcianò, avvenuto a Campobello il 6 luglio 2017, uno dei protagonisti delle criticità interne all’organizzazione.

Più in generale, le indagini hanno documentato uno spaccato genuino delle dinamiche associative del mandamento di Castelvetrano, comprendente anche le famiglie di Partanna e Campobello, evidenziando la vitalità dell’organizzazione nel controllo del territorio e la sua pericolosità testimoniata da condotte estorsive a danno di imprenditori economici dell’area, dalla consumazione di una serie di danneggiamenti su beni e proprietà allo scopo di punire atteggiamenti irrispettosi di soggetti riottosi all’autorità mafiosa, e dalla ampia disponibilità di armi e munizionamento. Particolarmente attivi in tale ambito sono stati gli indagati Giuseppe Tilotta, Giuseppe Bongiorno e Leonardo Milazzo, i quali procedevano alle attività intimidatorie su disposizione di Como.

E’ emersa, inoltre, l’assoluta fedeltà dei membri dell’organizzazione al latitante Matteo Messina Denaro, attraverso manifestazioni di vera e propria “venerazione” per la sua carismatica figura, che veniva ulteriormente enfatizzata l’indomani della morte di Salvatore Riina allorquando veniva indicato come suo erede naturale.

Emblematica, in tal senso, è la solerzia dimostrata da Angelo Greco, uomo d’onore di Campobello di Mazara le indagini sul quale hanno evidenziato la stretta vicinanza al capo mafia latitante tanto da essere a conoscenza nel dicembre 2012 di una sua momentanea permanenza nella zona di Marsala, il quale si premurava di cancellare una scritta irriguardosa comparsa su un muro della cittadina campobellese nel gennaio 2013 nei confronti di Matteo Messina Denaro, attivandosi per ricercare il responsabile.

Contestualmente, le indagini, hanno fatto luce sulle dinamiche associative dei mandamenti di Castelvetrano e Mazara del Vallo e di alcune delle famiglie mafiose in essi inserite. Un ruolo di primo piano ha rivestito Nicola Accardo, figlio del defunto “Ciccio”, al vertice della famiglia mafiosa di Partanna, nelle cui mani e nella cui abitazione rilevanti intercettazioni ambientali hanno documentato la lettura di riservatissima corrispondenza, attraverso il sistema dei “pizzini”, originata dal latitante e diretta sia al suo ambito familiare, sia ai vertici di alcune “famiglie mafiose”.

Ancora una volta, infatti, è emerso l’uso dei “pizzini” per dirimere controversie, dare disposizioni ai sodali ed investire delle massime cariche mafiose in seno alle rispettive famiglie le nuove leve, tra cui il neo reggente del mandamento di Mazara del Vallo, Dario Messina.

Analogamente è stata registrata, già durante la detenzione domiciliare del noto capomafia Vito Gondola, recentemente deceduto, l’ascesa di Dario Messina, oggi al vertice del mandamento di Mazara del Vallo, non priva di documentati contrasti e di importanti progettualità criminali.

L’inchiesta ha documentato i contatti tra i diversi mandamenti nella gestione mafiosa del realizzando parco eolico di Mazara, facendo emergere divergenze tra i massimi esponenti degli stessi con il ricorso ad azioni intimidatorie..

Analoghe progettualità criminali, sono state registrate all’interno del mandamento di Mazara del Vallo durante l’ascesa, prima della sua formale investitura, di Dario Messina consentendo, oggi, il fermo suo e dei suoi più stretti “collaboratori”, Bruno Giacalone e Marco Buffa quest’ultimo dichiaratosi “capo decina” di Petrosino Strasatti. Dalle indagini, risulta palese come il latitante, al fine di assicurarsi il costante controllo delle attività illecite e dei relativi proventi economici, abbia privilegiato, nella scelta dei soggetti da porre al comando dell’organizzazione mafiosa, il criterio “dinastico”, individuando sempre persone appartenenti alla propria cerchia familiare, affinché il vincolo “mafioso” coincidesse pienamente con il vincolo “di sangue”. Altrettanto per le altre famiglie mafiose ed i rispettivi mandamenti.

Ciò che rappresenta, infatti, il fulcro delle indagini è stato il completo monitoraggio da parte delle Forze di Polizia, dell’evoluzione degli assetti di vertice assunti dagli indagati in seno alle diverse compagini mafiose dopo i numerosi arresti avvenuti con le pregresse operazioni condotte negli anni, rispetto alle quali l’operazione odierna si pone in linea di assoluta continuità.

La attività investigative, tra le altre cose, hanno documentato sia le numerose attività malavitose finalizzate al mantenimento in vita dei sodalizi mafiosi interessati, talvolta realizzate attraverso azioni violente mirate a ribadire l’assoggettamento del territorio e delle relative attività economico-imprenditoriali a “cosa nostra”, sia i meccanismi che hanno assicurato il collegamento tra le diverse articolazioni territoriali di “cosa nostra” e il mantenimento delle funzioni di vertice, per la provincia di Trapani, del latitante Matteo Messina Denaro.

Le intercettazioni hanno, inoltre, consentito di accertare che che taluni indagati, attraverso soggetti insospettabili, sono intervenuti in aste giudiziarie al fine di riappropriarsi anche di beni sequestrati in precedenti operazioni antimafia e si è documentato nuovamente l’interesse della criminalità organizzata per il settore delle scommesse, attraverso la gestione di numerosi “punti gioco”, oltre alle attività tipicamente mafiose quali estorsioni e danneggiamenti.

Le indagini, infine, hanno consentito di contestare a Carlo Cattaneo, imprenditore nel settore dei giochi e scommesse on line, il reato di concorso esterno all’organizzazione mafiosa, per aver posto una serie di condotte volte a favorire l’acquisizione e la gestione da parte dell’associazione di tali rilevanti atttività economiche, provvedendo, tra l’altro, al sostentamento economico del circuito familiare del latitante Matteo Messina Denaro.


Dalle prime ore di questa mattina, Carabinieri, Polizia e Dia stanno eseguendo un provvedimento di fermo, emesso dalla Procura distrettuale di Palermo, nei confronti di 22 affiliati alle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna, indagati per associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni, reati aggravati dalle modalità mafiose.

L’operazione, denominata “Anno Zero”, si inserisce nel quadro della complessiva manovra investigativa finalizzata alla cattura del latitante Matteo Messina Denaro anche attraverso il progressivo depotenziamento dei circuiti criminali di riferimento e il depauperamento delle relative risorse economiche.

L’operazione,  coordinata dalla Dda di Palermo, ha confermato il perdurante ruolo apicale del boss nel trapanese e quello di reggente del mandamento di Castelvetrano assunto da un cognato, in conseguenza dell’arresto di altri membri del circuito familiare.

Le indagini, oltre ad accertare il capillare controllo del territorio esercitato da Cosa Nostra ed il sistematico ricorso all’intimidazione per infiltrare il tessuto economico locale, hanno consentito di individuare la rete relazionale funzionale allo smistamento dei “pizzini” con i quali il latitante impartiva le disposizioni ai suoi sodali.

I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terrà, alle ore 11.30, presso gli uffici della procura distrettuale di Palermo.

Il video degli arresti:

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