Nell’analisi del risultato delle regionali siciliane che stiamo effettuando in questi giorni, c’è spazio anche per una riflessione a sé sulla sinistra. Le urne hanno confermato quello che in tanti immaginavano: le divisioni condanneranno sempre l’area progressista alla sconfitta. Non è una mera questione matematica, in quanto sarebbe errato sommare i voti ottenuti da Micari e quelli di Claudio Fava. Perchè in realtà c’è un potenziale elettorato che avrebbe votato volentieri un candidato unitario capace di far convergere su di sé i consensi del cattolicesimo sociale, del riformismo, dell’ambientalismo e della frange più movimentiste, che hanno contatti quotidiani con quel mondo degli ultimi e degli emarginati che tanti dirigenti preferiscono ignorare. Bastava andare nelle piazze o nelle sale in cui si tenevano le iniziative del candidato del Pd o di quello di Cento Passi per sentire gli elettori commentare con amarezza ogni attacco incrociato che i leader delle due coalizioni si scambiavano. Poi sì, c’erano anche gli ultras che si eccitavano di fronte a un affondo contro Renzi da un lato o a una battuta su D’Alema dall’altro.
Ma non è che con gli ultras che si vincono le elezioni. Tutt’al più si potrebbero vincere mostrandosi credibili a quegli elettori che quando vedono fratture e confusione preferiscono non andare a votare o scegliere quello che secondo i loro parametri rappresenta il “meno peggio”, anche a costo di votare per Musumeci o Cancelleri. E’ chiaro che fin quando il Pd sarà alleato con Angelino Alfano sarà impossibile costruire una coalizione che contenga anche ciò che c’è a sinistra di Renzi. Perchè le alleanze non si fanno con il pallottoliere, ma con un giusto mix di idee e sentimenti. Non è un caso che una fetta importante del popolo di sinistra continui a sperare in un ritorno sulla scena di Romano Prodi, l’unico che in 20 anni sia riuscito a federare l’area progressista all’interno di un progetto comune. Di fatto, a pochi mesi dalle prossime elezioni politiche non si sa ancora come sarà composta la coalizione di centrosinistra, chi la guiderà e quale progetto per il Paese presenterà agli elettori. Sappiamo solo che i renziani e i bersaniani si odiano a tal punto da far pensare che qualsiasi tentativo di incontro siano destinato al fallimento.
In un mondo ideale, i due leader contrapposti e i loro ultras farebbero un passo indietro per lasciare spazio a una figura che potrebbe coniugare carisma e capacità di sintesi. Servirebbe un Barack Obama italiano, per intenderci. L’impressione, però, è che se anche ci fosse, si farebbe di tutto per non farlo emergere, preferendo presentarsi alle urne indossando le bandiere dei reciproci risentimenti per contarsi ancora una volta e rinfacciarsi vicendevolmente gli uni la causa della sconfitta degli altri. Fin quando si andrà avanti in questo modo, al netto dell’astensionismo il governo del Paese continuerà ad essere una questione che riguarderà altri.