Riparte il processo Perricone: trent’anni di intrecci tra mafia, politica, imprenditoria locale (e non solo)

redazione

Riparte il processo Perricone: trent’anni di intrecci tra mafia, politica, imprenditoria locale (e non solo)

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giovedì 07 Settembre 2017 - 13:46

Domani mattina, presso il tribunale di Trapani, davanti al giudice Piero Grillo, riprenderanno le udienze del procedimento giudiziario a carico dell’ex vicesindaco di Alcamo, Pasquale Perricone, accusato, insieme ad altri tre coimputati, di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, corruzione, truffa ai danni dello Stato e turbativa d’asta. L’inchiesta della magistratura ha fatto luce sui rapporti tra “cosa nostra”, politica e imprenditoria locale, e non solo, dalla caduta negli anni ‘80 del clan dei Milazzo al periodo storico successivo alle stragi, in cui il mandamento alcamese è passato nelle mani della famiglia mafiosa dei Melodia.

L’inchiesta giudiziaria “affari sporchi”

Nel 1990 in Italia andava in onda la quinta stagione della serie tv “La piovra”, la fiction di grande successo che narrava gli intrecci tra la mafia, la politica, la massoneria e l’imprenditoria italiana, ambientata in quegli anni. Detta edizione, come la sesta e settima, nonostante fosse seguita da milioni di telespettatori, fu inondata dalle polemiche politiche. La storia, sebbene di pura invenzione, era ispirata alle vicende italiane dell’epoca. Una trama simile alla citata serie televisiva è quella venuta fuori dall’inchiesta della magistratura trapanese, guidata dai pubblici ministeri Rossana Penna e Marco Verzera, denominata “affari sporchi” che, nel maggio del 2016, è culminata con l’arresto dell’ex vicesindaco di Alcamo, Pasquale Perricone, figlio di un noto imprenditore locale, che ha segnato la politica della città per circa 30 anni. Nel condurre le indagini sui lavori del porto di Castellammare del Golfo e sul fallimento di una società, la Nettuno s.r.l, riconducibile all’ex vicesindaco, la guardia di finanza di Trapani e le fiamme gialle alcamesi non potevano immaginare di aver scoperchiato, oltre alla bancarotta fraudolenta, un vero e proprio vaso di Pandora, così definito da alcune testate giornalistiche nazionali, per i diversi reati venuti fuori e contestati a Perricone e ai suoi sodali.

È stata la procura di Trapani ad aver evidenziato la pericolosità dell’ex esponente del PSI in merito al suo tentacolare progetto criminale che interessava diversi ambiti: il campo societario, mediante la galassia di cooperative messa su da Perricone ( Promosud, Work in progress, Paidos, Ambiente e servizi, Dafne consulting), di cui egli risultava amministratore occulto; gli appalti pubblici locali e del territorio regionale (come i lavori alla Galleria di Segesta), verosimilmente truccati, ai quali partecipava con l’aiuto dei consorzi imprenditoriali del nord Italia; il controllo dell’amministrazione del Comune di Alcamo, influenzando i bilanci e i piani triennali delle opere pubbliche; il settore del credito, che ha come centro del potere economico locale la nota Banca Don Rizzo, un “feudo” che da un lato Perricone si contendeva e dall’altro condivideva con l’ex senatore del PD, Nino Papania, controllando le nomine dei membri del consiglio di amministrazione; la formazione professionale, attraverso gli agganci con funzionari del centro per l’impiego locale e della Regione Sicilia, di cui si serviva per frodare lo Stato, realizzando dei veri e propri corsi “fantasma”. Tutto ciò sarebbe stato possibile grazie all’aiuto dei suoi principali collaboratori: la compagna Marianna Cottone, la cugina Mary Perricone, il funzionario del centro per l’impiego Emanuele Asta, e Mario Giardina, coimputati nel processo. Ma anche ad altri numerosi soggetti per i quali la magistratura sta procedendo separatamente, tra questi Nino Papania. Un impianto tentacolare, simile a una piovra, quello gestito da Perricone, la cui testa, ossia il centro operativo, era la sede di una delle sue società, in via Goldoni numero 8. È da questo ufficio che l’ex vicesindaco impartiva gli ordini e dava disposizioni, insieme all’amico Liborio Ciacio, non solo ai suoi soci negli affari, ma ai politici locali di spicco come l’ex sindaco Sebastiano Bonventre, i suoi assessori e alcuni consiglieri comunali del tempo. Fino all’8 giugno del 2015, giorno delle perquisizione della guardia di finanza negli uffici della Promosud, si sono riunite nella citata sede le “pedine” del consorzio criminale costruito da Pasquale Perricone che ha operato probabilmente dagli anni 2000 in poi.

L’ascesa politica di Pasquale Perricone dagli anni ‘80 al nuovo millennio

Chi è Pasquale Perricone e come ha fatto ad estendere il suo potere e il suo controllo sugli affari e interessi della città? Classe ‘55, è figlio dell’imprenditore Vincenzo Perricone, fondatore nel 1969 della CEA s.r.l., una società che ha raggiunto nell’arco della sua esistenza i 120 dipendenti. Perricone figlio, da amministratore occulto, secondo quanto sostenuto dai magistrati, la farà artatamente fallire ( la liquidazione coatta è avvenuta nel 2011), in occasione dei lavori al porto di Castellammare del Golfo, alla cui gara d’appalto, dell’importo di 35 milioni di euro, bandita nel 2005, arriverà un’unica offerta da parte del Consorzio Coveco, del nord Italia, di cui la CEA s.r.l. risultava essere un’associata. Le “abilità” imprenditoriali di Perricone andavano di pari passo con il suo successo in politica. Nel 1985, iscritto nel PSI, è diventato per la prima volta consigliere comunale. Al suo secondo mandato, inizio anni ‘90, entrava nella giunta democristiana, come assessore al bilancio, del sindaco Vito Turano (padre del deputato regionale Mimmo Turano). Nei primi anni 2000 ha presieduto il consiglio comunale nel primo mandato del sindaco Giacomo Scala e ricoperto il ruolo di assessore alle attività produttive nel secondo. Nel 2012 è stato eletto consigliere comunale nella lista civica Area Democratica e, una volta insediatosi, è stato nominato assessore all’urbanistica e vicesindaco da Sebastiano Bonventre. Nell’agosto dello stesso anno si è dimesso per correre alle elezioni regionali nella lista Il Megafono, legata al candidato alla presidenza Rosario Crocetta. Pasquale Perricone non verrà eletto, additando il tradimento all’allora senatore Nino Papania, del Partito Democratico, che gli avrebbe fatto mancare il suo sostegno politico. Il rapporto con Papania è controverso, come scrivono nelle loro ricostruzioni i pubblici ministeri, in quanto dalle indagini condotte mediante anche l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, è venuta fuori invece una “evidente posizione di potere ricoperta da Perricone e Papania e del sistema di connivenze politico-imprenditoriali” ad Alcamo, ma non solo. Dai colloqui tra Perricone e Liborio Ciacio è saltato fuori che l’ex senatore del PD sarebbe risentito del fatto che solamente lui e Giacomo Scala fossero stati coinvolti nelle inchieste giudiziarie dell’epoca, di cui, sorprendentemente, Papania sarebbe stato a conoscenza. Dalle conversazioni, infatti, emergeva che in quel momento vi erano sette indagini in corso della magistratura di Trapani sul Comune di Alcamo. Dunque, almeno fino al dicembre 2014, quando gli verrà notificato l’avviso di proroga delle indagini per bancarotta fraudolenta, Perricone colmerà il vuoto politico creatosi a seguito della incandidabilità di Papania alle elezioni nazionali del 2013. Sarà, invece, un tradimento politico di Perricone alla fine degli anni ‘80, ai danni di tale Pirrone, a farlo avvicinare, chiedendone la sua protezione, al capomandamento dell’epoca, Giuseppe Ferro, subentrato al clan dei Milazzo, da cui aveva ricevuto ordini come “soldato semplice” fino alla loro caduta. Dal 1996 Giuseppe Ferro e il figlio Vincenzo sono diventati collaboratori di giustizia. Sentito dai magistrati trapanesi nel corso del 2014, Giuseppe Ferro confermerà quanto sostenuto nelle sue dichiarazioni rese nell’ambito del processo tenutosi a Firenze per la strage dei Georgofili, descrivendo la figura di Pasquale Perricone e dei suoi rapporti con la mafia e, in particolare, la sua contiguità alla famiglia Melodia, a capo del mandamento alcamese dopo il suo arresto. Perricone insieme al padre, per paura di ritorsioni da parte del collega di partito Pirrone, nel 1989, andò a trovare a casa Giuseppe Ferro, che era stato appena scarcerato. Ferro è cognato dello zio acquisito di Pasquale Perricone, Antonino Messana, anche lui coinvolto nella strage dei Georgofili, sposato con Tommasa Perricone e fratello della moglie dell’ex capomafia, per l’appunto. Da questo momento in poi, secondo il racconto di Ferro, il giovane Perricone diventerà punto di riferimento di “cosa nostra” ad Alcamo, che in quegli anni era alla ricerca di un esponente politico con cui dialogare. Sarà proprio Giuseppe Ferro a fare agli altri “uomini d’onore” il nome del nipote di suo cognato, al quale organizzerà un incontro con il boss di Brancaccio, Antonino Mangano. Ferro ha raccontato, inoltre, di un’altra riunione tenutasi a Partinico alla presenza di Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro, nel corso della quale quest’ultimo, il latitante tra i più ricercati al mondo, avrebbe stabilito la somma, pari al 3%, che gli imprenditori di tutta la provincia di Trapani avrebbero dovuto versare alla mafia, una volta aggiudicatosi una gara d’appalto. Per il collaboratore di giustizia, gli imprenditori sarebbero a conoscenza del fatto che le gare d’appalto sono truccate e che se non riescono a mettersi d’accordo, interverrà la mafia ad indicare il vincitore tra loro. Sarà lo stesso Perricone, intercettato, a raccontare che ad Alcamo, come nel resto della Sicilia, un’impresa per poter partecipare ad una gara d’appalto doveva chiedere innanzitutto il permesso allo “ziu Turiddu”, ovvero al capomafia di turno. Inoltre, Giuseppe Ferro ha ricordato quanto accaduto in occasione dell’appalto per la costruzione dell’acquedotto di Alcamo nel 1990 (16 miliardi di lire ) e per i lavori di contrada Crucicchia, sotto il cosiddetto Bastione (4 miliardi di lire). Saranno 465 i milioni, secondo il racconto del collaboratore di giustizia, versati alla mafia dagli imprenditori Pasquale Perricone, Ernesto Emmolo, Giuseppe Cassarà e Antonino Spina. Tale denaro verrà investito da Cosa nostra per appropriarsi del caseificio di Luigi Cacioppo. La tesi sostenuta dall’ex capomafia è che Perricone, insieme agli imprenditori Giovanni Pioggia, Mariano Saracino e Michele De Simone, svolgesse la funzione di esattore dell’organizzazione mafiosa, attribuita solitamente a “Cola” (Nicola) Lipari. Pasquale Perricone sarebbe stato, poi, un contatto della mafia all’interno del Comune di Alcamo, oltre a tali Tommaso Gallo e Vincenzo Lombardo ( impiegato nell’ente). Verosimilmente, l’ex vicesindaco conosceva bene le modalità per truccare gli appalti pubblici del municipio, come si evince dal racconto venuto fuori da quelle che i pubblici ministeri hanno definito le sue “confessioni extragiudiziali”, rivolte alla sodale Marianna Cottone, con la quale intratteneva una relazione fuori dal matrimonio. Nello specifico, l’ex vicesindaco ha raccontato alla sua compagna come sapeva destraggiarsi bene nelle gare realizzate con il vecchio sistema delle medie delle offerte presentate dalle imprese, oltre a vantarsi di aver conosciuto il “Gotha” di Cosa nostra, il boss palermitano Leoluca Bagarella, un racconto che avallerebbe le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Ferro.

L’influenza sulla “res pubblica” da fuori le mura del palazzo di città

Come è già stato accennato i tentacoli del potere di Perricone si estendevano fino alla gestione politico-amministrativa del Comune di Alcamo, anche senza ricoprire alcun ruolo esecutivo al suo interno. Nella sede operativa della società Promosud, assieme a Liborio Ciacio, noto alle cronache per una consulenza attribuitagli illegittimamente dall’allora sindaco Giacomo Scala, costatagli una condanna per danno erariale (somma ad oggi non versata al Comune), dava disposizioni alla classe politica dell’epoca riguardo la redazione del bilancio e l’atto propeudetico per la sua approvazione: il Piano triennale delle opere pubbliche. Dunque, tra le “pedine” per realizzare quello che verrà definito il suo comitato d’affari, Perricone disponeva nel 2014 degli amministratori politici più in vista della città: dal sindaco Sebastiano Bonventre, al vicesindaco Salvatore Cusumano, agli assessori Gianluca Abbinanti, Antonino Manno, Enzo Coppola, i consiglieri comunali Lorena Di Bona, Gaetano Intravaia, Antonio Pipitone, Pasquale Raneri. Inoltre, Perricone poteva contare sull’appoggio di un sindacalista, Enzo Palmeri della CGIL. Tutti avrebbero seguito pedissequamente le direttive del deus ex machina, dettate e decise fuori la normale sede istituzionale: il Comune. Nello specifico, Perricone ha ordinato all’ex primo cittadino di far ritirare il punto all’ordine del giorno del Consiglio comunale, per un piano triennale che non condivideva ed ha suggerito all’ex assessore Salvatore Cusumano, sia le opere da inserire nel Piano triennale sia la modalità di finanziamento: ricorrere alle somme urgenze per i lavori pubblici e, dunque, all’assegnazione diretta degli appalti alle imprese, probabilmente, a lui riconducibili. L’ex vicesindaco, all’interno dell’amministrazione del Comune di Alcamo sembrerebbe aver potuto contare anche sulla collaborazione di alcuni funzionari e, in particolare, dell’ingegnere capo, Enza Anna Parrino, un dirigente ritenuto “a sua disposizione”. Le pressioni di Perricone sull’amministrazione si riscontreranno in occasione del trasferimento ad altro settore di Rosalia Bonura, dipendente ASU, moglie di Ignazio Melodia, cugino e omonimo del “u dutturi”, quest’ultimo reggente del mandamento di Alcamo fino allo scorso febbraio quando, grazie all’operazione antimafia “Freezer”, è stato tratto in arresto insieme ad altri soggetti legati alla criminalità organizzata. Nonostante l’allora segretario comunale Cristofaro Ricupati, avesse rigettato la richiesta della Bonura di non essere trasferita alla pulizia dell’arenile di Alcamo Marina, seguita dalla decisione arbitraria della stessa di andare in ferie per diversi giorni, la giunta guidata da Bonventre, inspiegabilmente, approvava una delibera illegittima, con efficacia retroattiva, che by-passava quanto stabilito da Ricupati. La causa della Bonura verrà perorata inoltre dai consiglieri comunali Pasquale Raneri e da Lorena Di Bona, vicini a Perricone. Un tattamento differente verrà riservato dall’organo esecutivo ad altre due dipendenti. Un favore, evidentemente, che bisognava fare ai Melodia che rappresentavano per Perricone “i fantasmi agitati del senatore”. Le quotazioni di quest’ultimo erano in caduta libera, specialmente per poter continuare a collocare i suoi uomini all’interno della Banca Don Rizzo, il centro economico più importante della città.

Linda Ferrara

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