Non li vogliono, perché in questi anni non hanno investito abbastanza sulla cultura dell’accoglienza e dell’incontro e temono che ogni profugo che arriva è un voto perduto. Non li vogliono, perché ormai si sono abituati a non prendersi le proprie responsabilità e a utilizzare gli immigrati come arma di distrazione di massa, fumo da gettare negli occhi di chi non arriva a fine mese e cerca un capro espiatorio. Non li vogliono, perché non ricordano i viaggi della speranza verso gli Stati Uniti, l’Argentina e l’Australia di tanti cittadini europei nel secolo scorso, né le storie dei tanti dissidenti che hanno lasciato l’Italia, la Germania, la Spagna, il Portogallo o la Grecia negli anni delle dittature. Non li vogliono, perché non conoscono i motivi che li spingono a lasciare i loro paesi. E forse non sono neanche interessati a conoscerli. Per questi e per tanti altri motivi i governanti europei non vogliono accogliere i rifugiati che attraversano il Mediterraneo per raggiungere le nostre coste. Nel frattempo i media distorcono i dati sui costi del sistema dell’accoglienza per gli Stati, ipotizzano infiltrazioni terroristiche, strumentalizzano le inchieste da cui stanno emergendo forti interessi da parte della criminalità nella gestione dei centri. Oggi si celebra la “Giornata Mondiale del Rifugiato”: un’occasione per riflettere, informarsi e comprendere cosa spinge davvero uomini, donne e ragazzini a sfidare pericoli di ogni genere per raggiungere l’Europa e riappropriarsi delle proprie vite. Dieci anni fa erano 37 milioni, alla fine del 2014, quasi 60. In quest’arco temporale sono aumentate a dismisura le guerre e le tensioni internazionali, con inevitabili ripercussioni sul rispetto dei diritti umani. Di fronte a una situazione del genere, l’Europa ha due possibilità: farsene carico o voltarsi dall’altra parte. Un atteggiamento, quest’ultimo, che non sarebbe peraltro inedito nella storia di questo continente: fu adottato anche ai tempi del nazismo e dei campi di concentramento. Vale la pena ripeterlo, perché, per dirla con le parole di George Santayana “Chi non ricorda il passato è destinato a riviverlo”.
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