Proseguono le iniziative nel segno della memoria della Shoah, organizzate dall’IPSEOA di Erice. Dopo l’incontro con lo scrittore Marco Rizzo, che lo scorso 27 gennaio ha presentato agli studenti dell’alberghiero uno dei suoi ultimi libri, “Jan Karski, l’uomo che scoprì l’Olocausto”, è stato fissato per il prossimo mese di marzo un nuovo momento di riflessione, a cui parteciperà Pietro Terracina, uno dei sopravvissuti al campo di concentramento di Auschwitz. Nato a Roma da una famiglia ebraica, ultimo dei quattro figli di Giovanni Terracina e Lidia Ascoli, Pietro Terracina fu prima vittima delle legge razziali promulgate dal governo fascista di Benito Mussolini, che gli impedirono di continuare a frequentare la scuola pubblica. Nonostante il divieto, il padre, un professionista, lo mandò ugualmente a scuola, dove la maestra gli disse di restare fuori, perché ebreo, tra l’indifferenza dei compagni. Nella notte del 17 maggio del ’44 cominciò il viaggio di deportazione in un treno di prigionieri italiani di origine ebraica.
Con queste parole Pietro Terracina ricorda la sua vita ad Auschwitz che racconterà agli studenti dell’alberghiero e a tutti i cittadini che vorranno partecipare a questa iniziativa.
« Ci misero in 64 in un vagone. Fu un viaggio allucinante, tutti piangevano, i lamenti dei bambini si sentivano da fuori, ma nelle stazioni nessuno poteva intervenire, sarebbe bastato uno sguardo di pietà. Le SS sorvegliavano il convoglio. Viaggiavamo nei nostri escrementi: Fossoli, Monaco di Baviera, Birkenau-Auschwitz.»
Degli 8 componenti della sua famiglia, Piero Terracina fu l’unico a fare ritorno in Italia. Il dramma si consuma il giorno stesso dell’arrivo a Auschwitz.
« Arrivammo dentro il campo di concentramento, dalle fessure vedevamo le SS con i bastoni e i cani. Scendemmo, ci picchiarono, ci divisero. Formammo due file, andai alla ricerca dei miei fratellini, di mia madre, noi non capivamo, lei sì: mi benedì alla maniera ebraica, mi abbracciò e disse “andate”. Non l’ho più rivista. Mio padre, intanto, andava verso la camera a gas con mio nonno. Si girava, mi guardava, salutava, alzava il braccio. Noi arrivammo alla “sauna”, ci spogliarono, ci tagliarono anche i capelli. E ci diedero un numero di matricola. “Dove sono i miei genitori?”, chiesi a un altro sventurato. E lui rispose: “Vedi quel fumo del camino? Sono già usciti da lì”. »
Immatricolato con il n. A-5506, per Terracina cominciò così la quotidiana lotta per la sopravvivenza.