Credo fosse il 2001. Ero all’università e non avevo ancora scelto l’indirizzo giornalistico, anzi, avevo appena conseguito l’abilitazione per l’insegnamento alla scuola elementare e materna. Facevo parte dell’associazione pedagogica e partecipai all’organizzazione della prima giornata della memoria che fu celebrata a Marsala. Mi diedero da visionare alcune cassette – all’epoca erano ancora piuttosto diffuse – per scegliere delle immagini da proiettare al Teatro Impero in quel lontano 27 gennaio, la sera sarebbero stati ospiti a Marsala due ex deportati: Mario Limentani e Vera Michelin Salomon. Io avevo sentito parlare della Shoah. Avevo studiato a scuola la seconda guerra mondiale per tre volte (quando ero piccola si studiava tutta la storia già alle elementari, poi di nuovo alle medie e ancora al liceo). Ma in realtà io non avevo mai capito nulla. Ricordo che tra i video che guardai c’erano le immagini girate dagli americani dopo la liberazione dei campi di concentramento. Molte scene le ho rimosse, ma una è rimasta scolpita nella mia anima. La cinepresa mostrava un uomo adulto, calvo, nudo e magrissimo, di profilo, poi la macchina da presa si postava dall’altra parte, ma non c’era nulla da far vedere. Quell’uomo, “senza volto e senza nome” era stato completamente segato a metà. Ho vomitato tutta la notte, ma ho capito.
A scuola spesso studiamo le guerre e le ripetiamo, il più delle volte, distrattamente all’insegnante per guadagnare il voto sperato. Ma ignoriamo l’orrore. Eppure è tutto scritto lì. Furono deportati ed uccisi sei milioni di ebrei. Non numeri, né personaggi di fantasia, né ancora lontane figurine smagrite, ma persone con sogni, sentimenti, speranze, progetti. Tutti stroncati, trucidati, come le loro vite. “Non pagine di carta – scrissi dopo quella prima Giornata della Memoria –, ma pagine di carne, pagine vive e perché uccise, divenute immortali”. Eppure non impariamo e dobbiamo vedere un film per ricordarci che queste persone avevano affetti e progetti di vita. E non ci scandalizziamo quando sentiamo che la pulizia etnica è stata perseguita anche nella vicina ex Iugoslavia, né quando è avvenuta in Kuwait o quando episodi analoghi si verificano nel cosiddetto sud del mondo. Eppure i media ce ne parlano. Ci difendiamo e dimentichiamo, divenendo così orrendamente complici nella costruzione di un mondo più indifferente e stantio, borghese, nella peggiore delle accezioni possibili. Ma la Shoah è un fiume di sangue che ha macchiato l’Europa e il mondo, per sempre. Non possiamo avere effetti sul passato, ma possiamo far tesoro, anche dell’orrore, affinché non accada mai più.
Chiara Putaggio