“Dall’inizio di quest’anno fino ad ora in Europa sono arrivati 130 mila immigrati e sono stati 3 mila i morti. Oltre la metà di questi flussi, circa il 60 per cento, sono persone che fuggono dalla guerra, spesso conflitti antichi che riprendono fuoco. Dalla Siria sono circa 3 milioni i rifugiati, le ragazze siriane hanno raccontato che la traversata è un’esperienza peggiore dei bombardamenti. L’Europa accoglie queste persone, ma queste persone hanno diritto alla convivenza e soprattutto all’integrazione”. Lo ha detto Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), intervenendo al talk show dal titolo “La neve per la prima volta: storie di immigrazione”, organizzato a San Vito Lo Capo nell’ambito del programma del Cous Cous Fest in corso fino a domenica. L’incontro, moderato dalla giornalista del Tg 2 Rai Marzia Roncacci, ha preso spunto dal dossier dal titolo “La neve per la prima volta”, le storie di quattro sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre scorso a Lampedusa, in cui persero la vita 368 persone. Valerio Cataldi, autore del dossier, oltre che dello scoop sulle “docce antiscabbia” cui venivano sottoposti i migranti a Lampedusa, ha ricevuto per questo documentario il Premio per la Libertà di informazione da parte di Articolo21 e il patrocinio dell’Alto Commissariato per i rifugiati. Secondo Action Aid sono oltre 993 mila i bambini stranieri che dal 1° gennaio 2011 risultano residenti in Italia, il 21,7 per cento della popolazione straniera, di cui 572.720 nati in Italia. Gli immigrati non sono soltanto un problema per l’Italia, ma anche una risorsa. “La maggior parte degli stranieri che vive in Italia – ha detto Marco De Ponte, segretario generale Actionaid Italia – produce il 12 per cento della ricchezza nazionale, per un valore di 167 miliardi. Il migrante è anche una persona che spesso si è integrata, vive in società. L’Unione europea – ha continuato – ha investito, fra il 2007 e il 2013, 4 miliardi di euro per l’immigrazione, ma di questi fondi quasi la metà, il 46 per cento è destinato al controllo delle frontiere e soltanto il 21 per cento all’integrazione e il 17% al fondo per i rifugiati”. Sul palco anche la testimonianza di Antonio Morana della Capitaneria di porto di Trapani, in servizio nel 2012a Lampedusa, “un’isola di 20 chilometri quadrati – ha raccontato Morana – che ha 4 mila abitanti e in quel periodo ha accolto 53 mila stranieri. Si è formata una vera e propria catena umana, la gente veniva tratta in salvo con la forza delle braccia, le madri portavano ai piccoli migranti nella notte cibo, giocattoli, peluche”. L’incontro ha affrontato il dramma dei migranti, le politiche dell’Unione Europea, le storie dei morti al largo di Lampedusa un anno fa raccontate quasi alla vigilia di questo tragico anniversario. Al centro del dibattito resta il tema dell’accoglienza, come ha sottolineato il condirettore del Giornale di Sicilia, Giovanni Pepi. “Siamo ancora lontani da una vera accoglienza, ancora di più dall’integrazione. Serve questo passo avanti. Ed è molto importante il ruolo dei media: quello che viene presentato come un fenomeno, è in effetti un fenomeno eterno, che si è solo accentuato negli ultimi anni e con il quale dobbiamo imparare a convivere. Oggi il 20 per cento della popolazione vive consumando l’80 per cento delle risorse del pianeta. Questo provoca povertà, tensioni sociali e guerre in cui si innescano fenomeni di fanatismo religioso e terrorismo. Oggi dovremmo vedere gli stranieri come una risorsa, gli imprenditori stranieri sono raddoppiati. Nei Paesi in cui si è riusciti a vedere l’immigrazione come una risorsa, dicendo anche no quando è necessario, si è generato equilibrio. In Italia invece questo fenomeno si trasforma in sofferenza, disagi, confusione”. Aiuti e soccorsi, altro aspetto fondamentale testimoniato da Stefano Di Carlo, responsabile operazioni Medici senza Frontiere in Italia. “Dal gennaio di quest’anno – ha detto- abbiamo soccorso più di 15 mila persone, spesso giovani sani che però sono provati dalle violenze, fisiche e psicologiche, subìte durante le traversate o in carcere nel loro Paese. Medici senza Frontiere lavora non soltanto con medici e infermieri ma anche con mediatori culturali, perché al loro arrivo queste persone hanno difficoltà legate non solo alla lingua ma anche ai riferimenti culturali”.
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