Ogni anno la scena si ripete puntualmente, quasi fosse un copione ormai consolidato: finita la stagione estiva, Capo Feto si trasforma da oasi naturale a discarica a cielo aperto. Come lo scorso anno, siamo tornati ancora una volta in ricognizione a Capo Feto, l’area costiera compresa tra Mazara del Vallo e Petrosino, a pochi minuti da Tonnarella che ancora una volta si presenta in uno stato di profondo degrado ambientale. L’area, riconosciuta come zona umida di interesse internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar, mostra ancora una volta le ferite lasciate da un’estate di inciviltà e incuria. Passeggiando tra le dune e i sentieri che conducono al mare, lo scenario è sconfortante: cumuli di immondizia sparsi ovunque, bottiglie di vetro e plastica, lattine, residui di picnic e bivacchi improvvisati. In alcuni punti, tra le sterpaglie, spuntano anche copertoni e materiali ingombranti, abbandonati come in un deposito abusivo.
Un’area abbandonata e senza controlli
Un quadro che stride con il valore ambientale del sito, dove flora e fauna tipiche delle zone umide convivono in un ecosistema fragile, già minacciato dal cambiamento climatico e dall’erosione costiera. Il problema non è nuovo. Ogni autunno, con il calo delle presenze e la fine delle attività balneari, emergono i segni di una mancata attività di controllo. E a nulla sembrano servire gli appelli al buon senso e le attività promosse saltuariamente da Plastic Free. L’assenza di controlli sistematici e di interventi di pulizia programmati trasformano Capo Feto in un simbolo di contraddizioni: riserva naturale sulla carta, terra di nessuno nella pratica. Eppure, il sito è uno dei patrimoni più preziosi del territorio mazarese. Dal 2011, il Ministero dell’Ambiente ne ha riconosciuto l’importanza ecologica, includendolo tra le zone protette di interesse comunitario insieme alle paludi di Margi Spanò e alla riserva Lago Preola e Gorghi Tondi. Un’area che, se valorizzata, potrebbe diventare esempio di turismo sostenibile e di tutela ambientale, ma che oggi, invece, racconta l’altra faccia del rapporto tra uomo e natura, fatta di abbandono e irresponsabilità.

Rifiuti e ancora rifiuti
Camminando lungo il litorale, si notano resti di grigliate, sedie rotte, vestiti lasciati tra la sabbia e sacchi colmi di rifiuti. Persino la carcassa di un animale morto in avanzatissimo stato di decomposizione, ma lì la natura potrebbe aver fatto il suo corso. Segni di un consumo del territorio che non conosce rispetto né consapevolezza. Ogni traccia è un promemoria di ciò che manca: un sistema di sorveglianza, un piano di manutenzione costante, ma soprattutto una cultura civica capace di difendere il bene comune. Capo Feto resta un luogo di straordinaria bellezza naturale, dove il vento, la luce e il silenzio dovuto alla lontananza del caos cittadino creano un paesaggio unico. Ma la sua bellezza, anno dopo anno, viene oscurata dai comportamenti irresponsabili di chi la frequenta e dall’indifferenza di chi dovrebbe vigilare. Se non si interviene con un piano concreto di tutela e valorizzazione, il rischio è che la parola “riserva” resti soltanto una definizione formale. E che, tra dune e copertoni, il confine tra paradiso naturale e discarica abusiva si faccia, anno dopo anno, sempre più sottile.