Lenti, lentissimi, estenuanti come lumache ad una gara di velocità. I treni siciliani non hanno fretta e talvolta si inceppano proprio per non smentire la loro atavica fama di “prudenti” mezzi di locomozione che non vogliono rischiare di arrivare in orario. Raggiungere una città siciliana spostandosi con l’interregionale ha dell’eroico, del sublime sacrificio, dell’epicureo. E se i treni viaggiano lenti, molto veloci sono invece le testimonianze postate sui social scritte spesso in diretta e senza filtri e che contengono dunque tutte le umorali essenze della rabbia e dello sconcerto. E di ritardo in ritardo dei treni, fra vicissitudini che hanno del grottesco, un giovane viaggiatore salito sul treno ad Agrigento, ha raccontato la sua disavventura per testimoniare lo stato di disagio e di abbandono in cui versa la rete ferroviaria siciliana. Fra campagne assolate, petrose e solitarie (sembrano immagini di Elio Vittorini), ha raggiunto sua la destinazione agognata dopo ben sei ore di treno e non ha perso l’aereo grazie all’ulteriore ritardo di quest’ultimo.
Procedendo per tappe, la storia è questa: un giovane parte da Agrigento per raggiungere la stazione di Palermo e prendere poi la coincidenza per raggiungere l’aeroporto “Falcone Borsellino”. E’ un giovane prudente e parte con 3 ore di anticipo perché “non si sa mai” e si deve mettere in conto qualsiasi contrattempo.(fulminea intuizione!) Ma, secondo quanto postato da lui stesso sui social, “alla prima fermata il treno si spegne e il motore non parte più. Dopo 30 minuti di attesa ci comunicano la soppressione del treno e che avremmo dovuto attendere il treno successivo che sarebbe arrivato dopo un’ora. Anche questo è infatti in ritardo. Ma lo prendiamo. Che altro potrebbe succedere? Dopo un’ora e mezza arriviamo a Roccapalumba una stazione arroccata nelle più inoltrate campagne palermitane. Il treno si ferma. 30.40.50 minuti di attesa assurda. Dopo un’oretta ci comunicano che saremmo dovuti ritornare indietro, verso Agrigento, così, con nonchalance. Panico sul treno. C’è chi deve pendere un aereo e non sa come fare. Il capotreno ci dice che arriverà un autobus di 50 posti ma noi siamo in 200. Ci lasciano là in campagna e si crea un clima di tensione. Chi stabilirà chi dovrà salire sull’autobus e chi no? …cerchiamo di ragionare e far valere le priorità: prima la signora che deve andare dal figlio ricoverato, poi le mamme con i bambini al seguito e poi chi deve prendere un aereo. Naturalmente all’arrivo dell’autobus tutta la nostra civiltà va in frantumi. Corriamo verso l’autobus, confusione, spinte e qualcuno viene schiacciato contro le porte. Saliamo in 60 e arriviamo a Palermo in orario di punta. Prendo un taxi che mi porta in aeroporto e arrivo 15 minuti dopo la chiusura del gate. Il volo per fortuna è in ritardo di un’ora…..”
Sei ore per fare 150 km. E si arriva persino a benedire il ritardo di un aereo. Italia a due velocità è una frase che sa di retorica ma è purtroppo vera. A “Non è l’Arena” di ieri sera in onda su LA7, ospite anche l’imprenditore Salvatore Ombra, presidente Airgest, si è parlato soprattutto di trasporti, di treni in modo particolare. Pensare di muoversi in Sicilia utilizzando i treni è impossibile. Anche per fare 100 km chiunque prende l’auto. Sarebbe da masochisti salire su un treno a Marsala per raggiungere Palermo. Ombra dixit. Un’affermazione consapevole e che però non consola. Strade ferrate antiche e poche carrozze ferroviarie lente sono tutto quello che abbiamo in una Regione che “dovrebbe e potrebbe vivere di turismo”. Altra frase retorica che ha il gusto dell’inedia a cui siamo abituati. L’amore dichiarato per la propria terra non basta. A volte la rabbia per l’ingiusta “doppia velocità” ha il sopravvento. Puntare tutto sugli aerei non basta. Una volta giunto in Sicilia, il turista dovrebbe muoversi con facilità, raggiungere le belle città spostandosi magari su treni veloci così come avviene nel “moderno” nord. Ed invece qui tutto si inceppa. Ruote lente in un meccanismo troppo antico frenano qualsiasi sviluppo. Serve sinergia di intenti. E vai con la retorica.
Tiziana Sferruggia