Non sono bastate operazioni antimafia, arresti e inchieste eccellenti. La piaga del voto di scambio e il complesso intreccio di rapporti tra mafia e politica continua a inquinare le campagne elettorali in Sicilia, con inevitabili strascichi anche sulla credibilità delle istituzioni. Il motore di tutto continua ad essere il potere: da un lato ci sono certi politici che vogliono vincere le competizioni elettorali ad ogni costo per poi gestire le proprie posizioni secondo logiche clientelari; dall’altro, ci sono gli affiliati a Cosa Nostra che ritengono di poter trarre vantaggio dall’elezione di candidati maggiormente disponibili alle proprie richieste. Un po’ più sopra c’è la politica nazionale, che astrattamente difende la legalità e la lotta alla mafia nelle aule parlamentari o nelle convention patinate per poi mostrarsi disattenta o ferocemente cinica nella composizione delle liste.
Il problema, chiaramente non è solo Paolo Ruggirello, ma un intero sistema che nella sua complessità dimostra di ritenere accettabili comportamenti spregiudicati nella raccolta dei voti. Per dirla in maniera più chiara, Davide Faraone ha la responsabilità morale e politica di aver aperto le porte del Partito Democratico a soggetti notoriamente “chiacchierati”, che avevano costruito le proprie fortune elettorali negli anni del cuffarismo e poco avevano da spartire con la storia del centrosinistra siciliano. Un anno fa di questi tempi, agli osservatori più attenti della politica locale non sfuggì l’imbarazzo dell’avvocato Marcello Linares (fratello dell’ex capo della squadra mobile di Trapani) a condividere il tavolo con lo stesso Ruggirello, come lui candidato al Parlamento nazionale con il Pd. Una forzatura evidente, che qualcuno giustificò con la necessità di aprire il partito a forze nuove ma che in realtà serviva solo ad alimentare ambizioni e progetti lontani anni luce dalle aspettative degli elettori democratici.
Come scriviamo da tempo, sono ben altre le figure e le energie a cui i partiti dovrebbero aprirsi qui al Sud, anche se in un primo momento potrebbero apparire elettoralmente deboli. Ma è proprio da qui che si costruisce il futuro. La Sicilia e la provincia di Trapani potranno riscattarsi dalla situazione di profondo disagio economico e sociale in cui si trovano da anni solo nel momento in cui la politica deciderà – senza attendere le indagini giudiziarie – di troncare ogni patto scellerato con le famiglie mafiose del territorio, accettando di affrontare le campagne elettorali nel pieno rispetto delle regole e disegnando un’idea di sviluppo incentrata sul bene comune e sulla valorizzazione del patrimonio naturale e culturale che la geografia e la storia ci hanno regalato. Tutto ciò, senza dimenticare quel capitale umano, sciaguratamente regalato ad altre regioni e ad altri Stati, che dovrebbe costituire il cuore di una proposta politica che voglia davvero cambiare i destini di questa terra.