Più in basso di così c’è solo da scavare

Gianvito Pipitone

La Corda Pazza

Più in basso di così c’è solo da scavare

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giovedì 18 Dicembre 2025 - 06:44

Più in basso di così c’è solo da scavare” (cit.) Quando le parole non bastano più a descrivere razionalmente ciò che accade, si fa prima a evocare un poeta o un artista, come se la loro voce potesse restituire la vertigine di questo tempo. Per il resto, non rimane che un respiro profondo e il tentativo di riconnettersi al mondo in maniera laterale: attraverso la meditazione, lo yoga, le filosofie orientali. Non per anestetizzarsi di fronte a una realtà che ha cambiato pelle in modo radicale, ma per imparare a digerire – con atteggiamento stoico – le narrazioni grottesche e la follia che si riversano ormai a piene mani su questo scorcio di secolo che ci è toccato vivere.

È roba che nemmeno un complottista della prima ora avrebbe potuto immaginare, neppure nell’iperbole più acuta della sua visionarietà più malata. Eppure non si tratta di un complotto, ma della più triste delle verità: la realtà che ci circonda.

Donald Trump, nel suo secondo mandato, sta demolendo ciò che resta dell’impalcatura della democrazia americana, trascinando con sé quel poco che rimane del vecchio Occidente verso un futuro che di radioso non ha nulla. E proprio mentre ci abituiamo a questo scenario, si insinua un pensiero ancora più inquietante: potrebbe andare peggio. Trump non ha fatto altro che imprimere la spinta finale a una trottola che già da tempo, per inerzia e per l’imperizia dell’alternativa democratica, aveva iniziato a girare velocemente verso destra.

L’uomo “che non deve chiedere mai” ci ha ormai abituati a ogni eccesso. Le sue ultime uscite – dall’Arco di Trionfo più grande di quello di Parigi alle parole vergognose pronunciate nel giorno della morte violenta del compianto Bob Reiner e della moglie – non suscitano più né indignazione né ironia. Non ci fanno ridere, non ci fanno tremare di paura. Ci consegnano soltanto l’immagine di un uomo privo di misura, incapace di contenere la propria deriva, ormai lontano da qualsiasi razionalità.

Eppure, al netto di questa quotidiana follia, nemmeno la prospettiva di un futuro più roseo pare offrirci sollievo. Quando penseremo che, finalmente, sarà passata ’a nuttata, non è affatto scontato che la generazione del post Trump – e del suo brother-in-arms Putin – possa essersi lasciata alle spalle il peggio.

Il sospetto è che, continuando di questo passo, i successori in pectore non porteranno ad alcun sollievo. Al contrario, peggioreranno, se possibile, le cose. Non c’è speranza per chi varca quella soglia di dantesca memoria, pare: il mondo, consegnato nelle loro mani, sembra avviato verso un disimpegno totale, un abbandono a sé stesso, un “go with the flow” drammatico che trascina tutto come un fiume in piena, travolgendo qualunque cosa vi si opponga.

Troppo pessimista, dite? Può essere. E mi auguro sinceramente di sbagliare. Ma sapete com’è: la predictio malorum – specie di questi tempi – è sempre da preferire. Chi parlò si salvò, si dice dalle mie parti.

Pensavamo di averle sentite e viste tutte. Non abbastanza, evidentemente. Nessuno avrebbe potuto immaginare che le teorie strampalate – per non dire assurde e vergognose – di Curtis Yarvin, ideologo della tecnodestra americana, non solo sarebbero potute uscire dalle fogne in cui parevano confinate insieme all’odio e all’orrore, ma che sarebbero diventate materia di ascolto per settori dell’amministrazione Trump.

Precursore del concetto di “Illuminismo oscuro”, Yarvin ha sempre trattato la democrazia come un fallimento storico, da sostituire con forme di governo autoritarie e tecnocratiche. Le sue visioni, imbevute di riferimenti a Matrix, alla cultura geek e alle teorie del fascista Julius Evola, non sono soltanto provocazioni intellettuali: sono proposte deliranti.

Non tutti gli uomini sono uguali, dice Yarvin, perché il maschio caucasico avrebbe un QI più alto e quindi il diritto di comandare sul resto delle razze. Una teoria che riecheggia a spanne quelle del Terzo Reich. E ancora: una soluzione per togliere di mezzo gli uomini a basso quoziente intellettivo dalla strada o dalla droga? Semplice: rinchiuderli 24 ore su 24 in strutture di realtà virtuale, sorta di “pollifici” umani … incapaci di produrre persino un uovo. Un incubo delirante, fuori da ogni razionalità, che non dovrebbe nemmeno essere pronunciato e che invece trova spazio e ascolto.

Ci si può solo chiedere come sia stato possibile arrivare a questo punto, e come figure che dovrebbero restare confinate nei sottoboschi più oscuri della rete più profonda possano d’un tratto diventare mainstream.

Il quadro, già cupo, non si chiude senza l’ascesa – prevedibile e insieme perturbante – di una figura finora rimasta in penombra: il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, che molti già indicano come il prossimo candidato alla presidenza. Vance, dietro il suo sorriso freddo e sornione, con l’aria di un felino annoiato ma pronto a colpire, non rinuncia a stoccate nette e letali. Lo si è visto durante la prima visita-imboscata di Zelenski alla Casa Bianca, quando la sua postura implacabile ha rivelato la stoffa di chi sa trasformare l’attesa in un balzo al centro della scena.

Freddo, scarsamente empatico, Vance non urla, non improvvisa, non ha bisogno di eccessi. Lui prega – dall’alto del suo sbandierato cattolicesimo – per quanto molte delle sue preghiere paiano intersecare gli insegnamenti religiosi più conservatori e fondamentalisti: antiabortista, ferocemente contro i diritti LGBTQ+, contro la fecondazione assistita, radicalmente contro le politiche migratorie e …chi più ne ha più ne metta.

Alla Conferenza di Monaco di febbraio scorso, ha dichiarato – in uno dei suoi frequenti attacchi contro la cultura del political correct – che “in Europa la libertà di parola è in ritirata”, accusando l’Unione di bullizzare le Big Tech. Non un dettaglio: brandire la libertà di parola come arma significa legittimare, in quel caso, gli estremisti neonazisti di AfD, erodere gli anticorpi istituzionali, scavare nel cuore della democrazia.

Per completare il quadro, l’allineamento con forze populiste europee e la narrazione dei “valori occidentali traditi” costituisce l’ulteriore terreno ideologico da preparare: delegittimare media, istituzioni e organismi sovranazionali, aumentare la polarizzazione, contro l’inclusione, ridurre la capacità di mediazione della democrazia.

Ecco perché la sua figura – in divenire – potrebbe incutere, se possibile, più paura dell’attuale scenario già da incubo. Perché non solo conferma la direzione verso cui sta andando l’umanità di Trump, ma la legittima con un peso di natura intellettuale. Vance, cioè, non parla più alla pancia della gente, come Trump, ma – cosa più inquietante – alla testa delle persone.

Sembrano lontani i tempi in cui ci lamentavamo del bacchettonismo woke che proveniva dalle Università fricchettone dell’America libera e liberale, o della ultra-normativizzazione della Comunità Europea. Non vorremmo doverci pentire di aver scambiato quelle lamentele per il peggio, quando il peggio, ma quello vero, non solo non è oggi, ma potrebbe ancora dover arrivare.

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