Ci deve essere davvero qualcosa di guasto in questa Europa – o forse una polverina nefasta che aleggia sopra Bruxelles – se l’Alto Rappresentante per la politica estera, Kaja Kallas, arriva a dichiarare che “gli Stati Uniti sono ancora il nostro più grande alleato”. Lo ha detto al Doha Forum, il 6 dicembre 2025, proprio mentre la nuova National Security Strategy americana bollava l’Europa come un continente in declino, a rischio di “cancellazione della sua civiltà”.
Non è un dettaglio: il documento firmato da Donald Trump definisce l’Europa tecnicamente un avversario, accusandola di “aspettative irrealistiche sulla guerra in Ucraina”. Eppure Kallas, come immersa in uno dei suoi surreali viaggi onirici (per noi dal sapore di incubo), ha scelto di minimizzare, insistendo che “dobbiamo restare insieme”. Una postura che non sa di realismo, ma di naif, o di arrogante testardaggine, incapace di leggere la durezza del contesto attuale.
Non ha forse sentito Kallas che, dall’altro lato, Putin ha applaudito alla scelta degli Stati Uniti di riposizionarsi come paese non ostile alla Russia? Il presidente russo ha parlato di “pragmatismo e realismo” nella nuova amministrazione americana, esprimendo “speranza” per un reset delle relazioni.
E allora, come si può continuare a credere che l’Europa, isolata e fragile, possa ancora vincere una guerra che gli stessi (ex) alleati considerano un peso? Parlare così non è più ingenuità, né colpevole arroganza: è ostinazione cieca, un incedere sconsiderato che alla lunga si rivelerà fatale. Per la sua e la nostra stessa esistenza.
La misura è davvero colma stavolta. Non si tratta di un errore di comunicazione, ma di un segnale politico devastante: l’Europa insiste a proclamare alleanze che non esistono più, mentre dall’Est e dall’Ovest arrivano le arpie pronte a banchettare sul suo corpo istituzionale.
Il paradosso è che, proprio ora che l’Europa è rimasta sola, sarebbe un azzardo sfiduciare Ursula von der Leyen e l’intero cucuzzaro di Bruxelles: significherebbe consegnare le chiavi direttamente a Trump e Putin. Ma continuare a sostenere questa direzione equivale a prestare il fianco a chi, fuori e dentro, lavora per smantellare ciò che resta del progetto europeo.
Una cosa è certa: questa Europa non può più permettersi di vivere di illusioni. Né di giocare con il fuoco nemico. Le parole di Kallas, le minacce di Trump e l’applauso di Putin compongono un triangolo che dovrebbe far tremare i palazzi di Bruxelles. E invece, si continua a recitare la parte di chi non vede.
L’Europa ha bisogno di un passo indietro, abbandonando la postura guerrafondaia, se non vuole scomparire dalla faccia della terra. La minaccia di Trump è stata chiara: davvero abbiamo ancora bisogno di conferme dai nostri ex amici?
Occorre piuttosto invertire la rotta e lavorare a testa bassa per cambiare postura. Far emergere le capacità diplomatiche e usare il soft power per una buona ragione. Allo stesso tempo – come si è lasciato scappare Crosetto sui giornali in questi giorni -cominciare a diversificare la nostra strategia di difesa con un supporto esterno: Africa, paesi arabi, Giappone, India, perfino Cina. Diversificare strategicamente, senza più nasconderlo. Ammesso che Crosetto si riferisse all’Europa e non alle singole nazioni … Da soli, infatti, non si va più da nessuna parte. Spero che almeno questo sia chiaro ai singoli leader dei paesi europei.
Sarà probabilmente questo il nodo da affrontare nell’immediato futuro. Da europeista, anche se profondamente deluso, una chance all’Europa vorrei ancora darla. Anche se oggi non si intravedono nomi né figure in grado di salvarla, mentre il nazifascismo – annidato dentro l’Europa e da sempre solleticato da Trump – incombe minaccioso sulle democrazie già provate. Basti ricordare che, proprio questa settimana, come riporta Der Spiegel, una delegazione di AfD – il partito di estrema destra tedesca – è volata a Washington per consolidare i rapporti con i repubblicani vicini a Trump.
Insomma troviamo un gran bel regalo sotto l’albero di Natale, quest’anno. Non c’è che dire. Vae victis, diceva qualcuno. E non aveva tutti i torti.