La peste nera che avanza

Gianvito Pipitone

La Corda Pazza

La peste nera che avanza

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domenica 30 Novembre 2025 - 06:50

Dal mito del buon selvaggio alle comunità völkisch: quando la nostalgia diventa incubatrice di nazismo

Non intendo cadere nella trappola della polemica stucchevole che oppone tifoserie pro e contro i genitori dei tre bambini sottratti alla coppia anglo-australiana in Abruzzo. In materia di tutela dei minori, la legge deve prevalere su tutto. Personalmente confido nell’operato dei servizi sociali, che di norma agiscono con attenzione e scrupolo, senza colpi di testa né prevaricazioni. Pertanto, se i criteri fondamentali di difesa dei minori – obbligo scolastico, socialità, requisiti igienici e di vivibilità – non vengono rispettati, lo Stato ha il dovere di intervenire.

Il cuore del mio ragionamento, tuttavia, non è questo. È piuttosto il modo in cui una vicenda di cronaca si trasforma, sempre più spesso, in terreno di scontro ideologico. Orde di tifosi si schierano a favore o contro, e la discussione scivola dal piano giuridico a quello metafisico: i limiti dell’intervento dello Stato, i confini della libertà genitoriale, il diritto di scegliere uno stile di vita alternativo. Tutto giusto, e si può star certi che chiunque trovi argomenti per portare acqua al proprio mulino. Nel frattempo, la politica, fiutando l’occasione, non tarda a metterci il cappello: in questo caso la destra dura e pura di Salvini, sempre pronta a cavalcare il populismo di facciata.

Ciò che colpisce maggiormente, nelle interviste rilanciate da cronisti e programmi televisivi spesso morbosi, è il consenso diffuso verso il mito del “vivere semplice”: comunità rurali, ritorno alla natura, riscoperta del “buon selvaggio”. Un mito che, almeno a parole, sembra affascinare ampi strati della popolazione, specie dopo gli anni cupi della pandemia, l’inflazione galoppante, le guerre in Ucraina e Gaza, e l’esplosione dei complottismi.

Colpiscono anche la sicumera e l’arroganza delle dichiarazioni di esponenti della destra di governo, oggi schierati a favore di questo modo di vivere alternativo che, in altri tempi, fu cavallo di battaglia della sinistra intransigente: le comuni, lo stile di vita vicino alla natura, il ritmo biologico interiore.

E allora, che cosa è accaduto in questi anni di così sostanziale da produrre un capovolgimento a 360 gradi?

Una risposta arriva forse dagli Stati Uniti, dove le comunità rurali – specie nel Sud del paese – hanno da sempre difeso valori identitari, contrapposti all’inclusione multiculturale delle città e delle università, che negli anni Dieci predicavano come vangelo la filosofia Woke. Ma fintanto che l’esempio arriva da oltre oceano, tutto ci appare circonfuso da un alone di mito sfocato, facilmente liquidabile come “la solita americanata”. Sarebbe invece il caso di guardare più vicino a noi, in un’Europa dove da anni è in corso un processo di radicalizzazione dell’estrema destra dai contorni sempre più preoccupanti.

Lo dimostra la Germania, dove – come racconta Tonia Mastrobuoni nel suo eccellente saggio La Peste, di recente pubblicazione – proliferano le comunità völkisch (letteralmente dal tedesco: popolare, etnico). Una nuova peste che si diffonde silenziosamente, evocando il mito di purezza e comunità che fu alla base del nazionalsocialismo. Camus, nel 1947, descriveva la peste come metafora del contagio ideologico che prepara il terreno al totalitarismo. Oggi quella metafora torna attuale: la nostalgia per le comunità pure e incontaminate, da sogno di evasione e gioiosa alternativa al logorio della vita contemporanea, rischia di trasformarsi in incubatrice di ideologie che già hanno devastato l’Europa.

Mastrobuoni, forte di un lavoro sul campo iniziato nel 2006 e costantemente rivisto fino ai nostri giorni, ci guida attraverso quella che sembra un girone dantesco. I nuovi völkischen non sono skinhead con mazze da baseball: si presentano invece come contadini d’epoca, vestiti ottocenteschi, nomi da saghe nordiche, famiglie numerose. La loro apparenza richiama più lo stile Amish che quello dei neonazisti. E dietro maglioni fatti a mano, capelli lunghi e piedi scalzi si cela un antico e feroce credo: Blut und Boden, sangue e terra. Una società nascosta, che vive e trama alle spalle della democrazia, e che parallelamente alla riscoperta delle piccole cose buone – di pascoliana memoria per noi italiani – coltiva l’orrore del passato.

Queste comunità si sono radicate soprattutto nel nord della Germania, tra Bassa Sassonia e i Länder dell’ex DDR. A pochi passi dalla civilissima Amburgo, città inclusiva e alternativa, nei villaggi a sud di Lüneburg, Celle e Uelzen si è sviluppata una colonizzazione rurale pianificata. Qui, nel corso degli ultimi vent’anni, famiglie radicalizzate hanno iniziato a controllare i villaggi, infiltrandosi nelle associazioni locali: riparando fienili, restaurando edifici, arruolando i figli alle feste di paese, entrando nei circoli di caccia e nei pompieri. Così facendo, diffondono idee malate sotto la maschera della “comunità modello”.

E invece eccoli lì, uomini e donne che sembrano usciti da una comunità protoreligiosa, dall’apparenza semplice e pacifica, ma che nascondono dietro la facciata il cuore nero del Terzo Reich. Cuore pulsante della loro “strategia”, come la chiama Mastrobuoni, è la formazione dei minori. Niente jeans, niente computer, niente lingue straniere. La musica hip hop è bollata come “incultura nera”. Le bambine vengono “addomesticate” precocemente, i maschi incoraggiati all’aggressività. Nei campeggi völkisch si recitano passi del Mein Kampf, si marcia all’alba anche d’inverno, si organizzano prove di coraggio con coltelli e riti germanici. L’obiettivo dichiarato da alcuni leader è prepararsi al “Giorno X”, alla presa del potere.

C’e’ di più. In Meclemburgo, ribattezzata “Nazi-Toscana”, affondano le radici degli Artamani, i “protettori della zolla”, nati negli anni Venti. Himmler e Rudolf Höss incarnarono l’ideale di fattoria autosufficiente e famiglia numerosa come baluardo della razza. Oggi i neo-Artamani lavorano nell’agricoltura e nell’artigianato, ma la loro ideologia resta: odio verso stranieri, disprezzo per la democrazia, antisemitismo militante.

Tutto sembra accadere lontano dal clamore politico gridato, senza svastiche al vento, ma al contrario facendosi scudo di prodotti biologici e sorrisi rassicuranti. Inquietante.

E la politica? Che legami ci sono con i partiti? Il consenso di questi nuovi völkisch è stato intercettato e convogliato negli ultimi anni attorno al partito AfD, Alternative für Deutschland. La politica ha dunque plasmato questo consenso nelle forme che le sono proprie. Non a caso, alle elezioni del 2025, il partito di AfD – guidato da Alice Weidel – ha ottenuto il 20,8% dei voti su base nazionale e 152 seggi al Reichstag, diventando il secondo partito nazionale. Nei Länder orientali è spesso il primo.

Parallelamente, militanti di estrema destra hanno messo in atto strategie di intimidazione: pubblicazione di indirizzi di sindaci ritenuti nemici, violenze contro amministratori locali, pestaggi di politici in Turingia, Brandeburgo e Sassonia. L’obiettivo è chiaro: minare la democrazia diffondendo paura e scoraggiando l’impegno civile.

Accanto alla politica che spalleggia questi rigurgiti, evitando di compromettersi troppo con esternazioni apertamente radicali, proliferano sette e culti: complottismi antisemitici, pseudoscienze come la “telegonia”, fino al culto di Anastasia. Qui la democrazia è descritta come progetto satanico, la purezza della razza come obiettivo spirituale. Con migliaia di seguaci che diffondono questi deliri su YouTube.

Per finire. I nuovi völkischen non sono un fenomeno marginale. Sono un mosaico di comunità rurali, élite culturali, partiti politici, sette esoteriche e reti criminali. Non più bunker e slogan urlati, ma tende da campeggio, miele, frutta, pratiche biologiche e sorrisi educati. Non più il presente, ma un orizzonte di decenni e secoli. Una lenta pianificazione silenziosa.

Un fanatismo che si traveste da tradizione, colonizza con la gentilezza e infetta con la normalità. La loro forza sta esattamente nella mimetizzazione: in quell’innocua apparenza che scava la democrazia dal di dentro fino a farla crollare.

Ecco perché, d’ora in avanti, quando ascolteremo conversazioni sul mito del buon selvaggio, sarà il caso di drizzare l’orecchio. E quando qualche politico si attarderà a spiegare quanto sia bella e sana la vita comunitaria nelle campagne, titillando il consenso e favorendo così una possibile radicalizzazione a casa nostra, avremo più argomenti per la critica e l’autodifesa. Perché dietro la nostalgia del vivere semplice può nascondersi l’ombra lunga di una nuova peste che avanza.

PS: Vale qui la pena sottolineare, tornando alla vicenda dei genitori anglo-australiani in Abruzzo, che la loro storia non ha nulla a che vedere con le comunità völkisch o con le derive ideologiche qui descritte: le motivazioni che hanno portato all’allontanamento dei figli appartengono a un piano del tutto diverso, e non sono in alcun modo riconducibili alle inquietanti dinamiche di cui si dà notizia nell’articolo.

https://gianvitopipitone.substack.com/

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