Europa del piffero: l’adolescente che non cresce

Gianvito Pipitone

La Corda Pazza

Europa del piffero: l’adolescente che non cresce

Condividi su:

mercoledì 26 Novembre 2025 - 07:44

C’è un’immagine che torna ossessiva quando si guarda all’Europa di questi mesi: quella di un adolescente svogliato, che si muove solo quando il genitore d’oltreoceano alza la voce, o lo minaccia. È brutale, certo, ma perfetta. Perché davvero sembra che l’Unione Europea abbia trovato la forza di abbozzare un piano di pace soltanto dopo la sortita di Donald Trump, come se la guerra e la distruzione a due passi da casa – da ormai quattro anni – non bastassero a scuotere il torpore incancrenito che aleggia su Bruxelles.

Il paradosso è lampante: la scorsa settimana, come noto, il presidente americano ha presentato un piano di pace in 28 punti per la guerra russoucraina, un testo che serviva su un piatto d’argento concessioni pesanti a Mosca. Un documento sbilanciato, certo, ma comunque trattato con il dovuto rispetto da Kyiv, mentre in Europa è stato accolto con estrema freddezza. Eppure, giusto o ingiusto che fosse, almeno un documento è stato messo sul tavolo. La reazione di Bruxelles invece? Stizzita, quasi riluttante: l’Unione si è mossa come costretta, più per salvare la faccia che per reale convinzione.

Il grado massimo di nequizia politica si è raggiunto poi, il giorno dopo, con le dichiarazioni scomposte di Kaja Kallas, alto rappresentante europeo per gli Affari Esteri, oscillanti tra arroganza e sterile sfida all’amministrazione americana, salvo proclamare che senza l’Europa non ci sarebbe stata la pace. Bene: verrebbe da domandarsi allora che cosa abbia fatto, fino a questo momento, l’Europa per la pace. Poco, se non nulla.

Non è certo a noi convinti europeisti che si può imputare l’odio seriale verso la tecnocrazia di Bruxelles. Noi che siamo cresciuti all’ombra di Maastricht, nutriti di moneta unica e istituzioni comunitarie, avremmo voluto raccontare finalmente di un continente adulto, capace di affrontare le sfide senza esitazioni. E invece l’Europa, in questi quattro anni cruciali, ha continuato a sembrare uno studente, pigro ed indolente, che non vuole nè crescere, nè studiare. E non solo la sua apatia rischia di sfociare in conflittualità, ma si dimostra altresì incapace di affrancarsi e di agire di propria iniziativa, prigioniero di una dimensione adolescenziale che lo condanna a movimenti goffi e a un rapporto dipendente dal patrigno americano.

L’unica prova di forza – mastodontica e spropositata – è stata il cosiddetto piano ReArm Europe, presentato nel marzo 2025 con l’obiettivo di mobilitare fino a 800 miliardi di euro per la difesa comune. Un piano che, privo del necessario soft power, ha finito per esacerbare gli animi di tutti gli attori in campo, più che rassicurarli, alimentando divisioni interne e dubbi sulla sostenibilità economica. In un momento in cui si chiedeva maturità, l’Europa ha quindi preferito la propaganda alla sostanza.

E proprio quando si è trattato di affrontare l’esame di maturità di Gaza, l’Unione ha toppato clamorosamente: mesi di esitazioni sulla crisi umanitaria, per poi svegliarsi troppo tardi. Troppo divisa, incapace di smarcarsi dalla linea americana, ha finito per presentarsi all’appello senza voce né coraggio. E così all’esame di Gaza, fino alla fine l’Europa ha fatto spallucce, scena muta e voto zero.

Ed ecco che, oggi, all’indomani dei 28 punti di Trump, Bruxelles ha finalmente scelto di muoversi. Non per convinzione, probabilmente, ma per paura di dover fare i conti con quei punti. Ha presentato una controproposta, certo migliorativa – anche perché era impossibile fare peggio – ma più per necessità che per slancio. È sembrato ai più un beau geste di maniera, più estetico che politico: impartire lezioni morali senza avere la forza e lo slancio necessario.

La verità è che l’Europa ha ben compreso la posta in palio: la non partecipazione ai negoziati avrebbe relegato il continente a un ruolo marginale nello scacchiere geopolitico. E questo, per chi crede ancora nel progetto europeo, sarebbe stato un colpo mortale. Ora non sappiamo cosa succederà, ma la speranza è che, anche grazie alla collaborazione fattiva dell’Unione, si arrivi a una pace giusta, con garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Oltre che per l’Europa stessa.

Fa male, però, vedere Bruxelles ridotta ad un simulacro di sé stessa, in uno stato confusionale pietoso. Per chi è nato e cresciuto nella convinzione che l’Unione dovesse rappresentare un faro di civiltà, una summa di ragione e sentimento, la sua burocrazia incapace e infruttuosa è una ferita aperta.

È arrivato il momento di crescere davvero, di smettere i panni adolescenziali e assumersi responsabilità adulte. Perché le sfide d’ora in avanti sono tutte difficili: l’America non è più la fedele alleata, la Russia preme, la Cina avanza, e i paesi arabi iniziano la loro parabola ascendente. Che coincide tristemente con la parabola discendente dell’Europa.

Bisogna invece dimostrarsi maturi. Perché l’Europa resta acerba, come un ragazzo che – pur avendo l’età per diventare uomo – continua a presentarsi agli esami con la cartuccera dei compiti copiati dal vicino di banco. Prima o poi dovrà crescere davvero. Perché il futuro non ammette studenti fuori corso: o si cresce, o si scompare.

Condividi su:

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Commenta