Una pace imposta 

Gianvito Pipitone

La Corda Pazza

Una pace imposta 

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domenica 23 Novembre 2025 - 08:00

La notizia di una possibile pace tra Ucraina e Russia, negoziata direttamente tra Washington e Mosca, sembra a prima vista un evento positivo. Dopo quasi quattro anni di guerra, con centinaia di migliaia di vittime e città devastate, qualsiasi cessazione delle ostilità dovrebbe essere accolta con sollievo. Per quanto, se fosse stato solo per salvare vite umane, l’accordo andava firmato già al secondo giorno di conflitto. Eppure la realtà che si profila oggi è diversa, e pericolosa, per diversi fattori in gioco. La pace che emerge dai colloqui tra l’inviato statunitense Steve Witkoff e il negoziatore russo Kirill Dmitriev non appare né equilibrata né sostenibile. E per l’Europa rischia di trasformarsi in una pessima notizia. 

Secondo bozze e ricostruzioni giornalistiche, il piano in 28 punti imporrebbe a Kyiv concessioni molto pesanti. Tra queste: il riconoscimento della Crimea e di ampie aree del Donbas come territori russi, ben oltre l’attuale linea di congelamento del fronte; la riduzione del numero di militari e degli armamenti; la rinuncia a entrare nella NATO e il divieto di ospitare truppe straniere sul proprio territorio. Sul piano politico e culturale, il documento prevederebbe inoltre l’introduzione di uno status di parità per la lingua russa rispetto a quella ucraina, esteso a tutto il Paese. A completare il quadro, il reinserimento di Mosca nel G7. Tutti questi punti, va da sé, ampiamente contestati sia da Kyiv che dalle capitali europee.

In cambio, Mosca offrirebbe soltanto garanzie di sicurezza vaghe e non verificabili: un impegno generico a non aggredire né l’Ucraina né i paesi dell’Unione Europea, insieme ad un riassetto delle relazioni con gli USA. Poco altro, e nulla che possa costituire un vincolo concreto sul comportamento futuro della Russia.

A questo punto il disegno di Trump appare chiaro: l’Ucraina, pur essendo la parte direttamente colpita, si trova di fronte a un piano presentato come fatto compiuto, senza un ruolo realmente attivo nel processo. La sua provocazione sembra dunque muoversi in un circuito chiuso, in cui i destinatari finali – per interposta persona di Zelensky – finiscono per essere proprio i paesi dell’Unione Europea. A confermare questa marginalizzazione è infatti arrivata la dichiarazione, riportata dalla stampa, di un funzionario americano: “Non ci interessano davvero gli europei.” Ossia, senza mezze misure, la fotografia del momento geopolitico.

Non è neanche un caso che la proposta sia circolata proprio nel momento più difficile forse per Kyiv e per la coalizione europea che la appoggia: la situazione militare sul fronte, descritta da più fonti come sempre più critica; la crisi politica interna, segnata dalla più vasta inchiesta anticorruzione dall’inizio della guerra, che ha coinvolto figure vicine alla presidenza e portato alle dimissioni di ministri chiave, tra cui quelli della Giustizia e dell’Energia; la pressione parlamentare per la formazione di un governo di unità nazionale. Tutti fattori che hanno indebolito la posizione politica di Zelensky e ridotto il margine di manovra di Kyiv nel rispondere a proposte tanto invasive, proprio mentre le offensive e i bombardamenti russi continuano a colpire non solo le linee del fronte, ma anche le città dell’est e la capitale.

Nel cul-de-sac in cui sia l’Unione che l’Ucraina si sono progressivamente ritrovati, non restano che due opzioni, divergenti e difficili, davanti all’Unione Europea, dal momento che ormai la NATO –tecnicamente depotenziata – è ostaggio del suo socio di maggioranza.

Con la prima strada, la “pace imposta” porterebbe a una marginalizzazione politica e diplomatica dell’Unione Europea, ridotta al ruolo di spettatrice. In questo scenario l’Europa perderebbe credibilità come attore geopolitico, costretta ad accettare condizioni sbilanciate e prive di reali garanzie di sicurezza, affidandosi soltanto alla parola di Mosca. Peraltro, una pace percepita come ingiusta rischia di alimentare risentimenti e instabilità future. La memoria corre inevitabilmente alla pace di Versailles del 1919: un accordo imposto alla Germania, sconfitta nel corso della Prima Guerra Mondiale, vissuto come umiliazione, che alimentò rancori e aprì la strada, decenni dopo, alla nascita del nazismo.

Il secondo scenario riguarda la possibilità che l’Europa scelga di non chiudersi a riccio e recuperi invece il ruolo di mediazione. Per quanto, questo scenario, non dipenda più a questo punto solo da sé stessa. Pur non avendo la forza militare degli Stati Uniti, potrebbe almeno contribuire a limare le controversie, a garantire che alcune condizioni non siano totalmente sbilanciate, e a inserire garanzie minime di sicurezza per Kyiv. Certo, magari, non sarebbe una pace perfetta, ma almeno potrebbe portare ad un compromesso che eviterebbe di consegnare l’Ucraina – mani e piedi- a una resa totale e l’Europa a una marginalità definitiva.

Intanto, il ferro pesante continua ad abbattersi ogni giorno sulle città ucraine, non solo sul fronte ma anche a ovest e sulla capitale. Fermare l’emorragia di vite civili resta sempre un obiettivo imprescindibile. E mentre tutto ciò continua inesorabilmente ad accadere, la domanda è da fuori o dentro: l’Europa è pronta a derogare dalle sue ultime determinazioni, quelle che appena pochi giorni fa l’hanno portata ad approvare un nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca? Sarebbe disposta a farlo, cedendo anche sull’ultimo barlume di coerenza?

Difficile. Tutto questo presupporrebbe due condizioni: un’inversione a U da parte dell’Unione Europea e dei suoi leader più assertivi, da Macron a Merz, fino alla Gran Bretagna, e lo spazio che gli stessi Stati Uniti di Trump – oltre alla Russia – sarebbero disposti a concedere loro.

In un modo o nell’altro, se la provocazione di Trump dovesse andare in porto, con o senza Europa a bordo, il successo per lui sarebbe duplice: da un lato il rafforzamento dell’asse Usa con l’ormai alleata Russia, dall’altro la squalifica dell’Europa dal contesto geopolitico mondiale per i prossimi decenni.

A quel punto, non è difficile immaginare i terremoti politici che potrebbero scuotere il continente nel futuro immediato: crisi dell’Unione Europea, ormai depotenziata, una Germania ferita e spinta verso il riarmo e una Francia, gonfia e costretta a rispolverare antiche posture di potenza, con tutte le conseguenze che ciò comporterebbe per la stabilità europea. Mentre montano un po’ in tutto il continente brutti rigurgiti nazionalisti, sempre pronti ad approfittare dell’horror vacui della democrazia. Insomma, un grande disastro geopolitico in cui l’Europa si è andata a cacciare, procedendo – spiace dirlo – a fari spenti nella notte.

Non resta che sperare che la realtà smentisca questa previsione da incubo. 

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