Cittadini con i sacchi di plastica pieni fino all’orlo e senza sapere dove lasciarli. Attività commerciali sommerse da imballaggi che non possono più conferire regolarmente. In Sicilia, il primo sos è stato lanciato giorni fa dalla Provincia di Catania. Poi da Marsala. In molti comuni italiani – e non solo – la raccolta della plastica sta entrando in una fase critica: gli impianti non ricevono più materiale perché gli stoccaggi sono saturi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: cassonetti colmi, sacchi accatastati in strada e un crescente senso di frustrazione tra residenti e operatori economici. Quello che si vive oggi non è un problema locale, ma una crisi strutturale della filiera del riciclo della plastica, che sta toccando tutta Europa. E al momento non sembra ci sia un rimedio.
Una filiera al collasso
La “filiera europea delle materie plastiche è al collasso”: lo afferma Walter Regis, presidente di Assorimap, l’associazione nazionale dei riciclatori e rigeneratori di materie plastiche.
Secondo Regis, il sistema rischia di bloccarsi nel giro di poche settimane: “Se noi riciclatori smettiamo del tutto di processare i lotti, il sistema di selezione si bloccherà nel giro di qualche settimana”. La fotografia è drammatica: i piazzali degli impianti di stoccaggio sono ormai saturi e al limite delle autorizzazioni. Questo significa che non possono ricevere nuova plastica, bloccando di fatto la catena di raccolta.
Il crollo in Europa e in Italia
La crisi non risparmia nessuno. Dal 2023 a oggi hanno chiuso 40 impianti europei, soprattutto tra Regno Unito e Olanda. Solo nel 2024 si è stimata una perdita di 280.000 tonnellate di capacità di riciclo, che saliranno a 380.000 entro la fine dell’anno. In Italia la situazione è ancora più preoccupante:
- gli utili degli impianti di riciclo sono crollati dell’87% dal 2021, passando da 150 a 7 milioni di euro;
- per il 2025 la proiezione è prossima allo zero;
- nel nostro Paese sono coinvolti 86 riciclatori meccanici, di cui 64 al Nord e 20 tra Sud e Isole.
La richiesta di aiuti e l’appello al Governo
Assorimap, che rappresenta il 90% della filiera nazionale, ha presentato al MASE diverse misure per evitare il collasso, ma dal Governo non sono arrivate risposte concrete. Regis è stato chiaro:
“Siamo costretti a fermarci finché il governo non interviene sulla crisi. Continuare a produrre con perdite insostenibili è ormai impossibile”. Tra le richieste:
- anticipare al 2027 l’obbligatorietà del contenuto di plastica riciclata negli imballaggi,
- riconoscere crediti di carbonio per chi produce materia prima seconda,
- estendere i certificati bianchi,
- intensificare i controlli sulle importazioni,
- introdurre sanzioni contro la concorrenza sleale.
Il ruolo della Cina e della plastica “cheap”
Uno dei nodi centrali è il mercato globale. La plastica vergine importata dalla Cina e da altri Paesi extra UE costa molto meno della plastica riciclata. Questo rende i prodotti riciclati poco competitivi e distrugge i margini di guadagno degli impianti italiani. Risultato:
- il PET (bottiglie e flaconi) continua a essere richiesto e si ricicla bene,
- la plastica mista, invece, non trova sbocchi di mercato e si accumula nei magazzini.
Quando i depositi si riempiono – ed è esattamente ciò che sta accadendo ora – gli impianti devono chiudere temporaneamente i conferimenti. E da quel momento parte l’effetto domino:
- i camion non possono scaricare,
- la raccolta si ferma,
- i sacchi restano in strada.
Una crisi annunciata
Questa emergenza – che si risente in Sicilia, in Sardegna e in altre parti d’Italia – è il riflesso di un problema nazionale ormai esploso. Gli impianti rallentano, gli stoccaggi si saturano e la raccolta va in tilt.
E mentre i cittadini continuano a differenziare con attenzione, il sistema che dovrebbe occuparsi della fase successiva non riesce più a reggere. La plastica si accumula, nei centri di selezione come nelle strade, e senza un intervento immediato — soprattutto da parte del Governo — la crisi rischia di trasformarsi in un’emergenza ambientale e sanitaria.