C’è un nuovo capitolo dei grandi classici siciliani: le inchieste sugli affari che la politica fa con la gestione della sanità. E i classici, si sa, hanno i loro protagonisti ricorrenti, che in questo caso sono Totò Cuffaro e la Democrazia Cristiana.
Tanti che orbitano intorno alla politica erano già (ri)saliti sul carro dell’ex presidente della Regione, destinazione Regionali 2027. Persino Salvini, fiutando l’aria, aveva confermato nelle scorse settimane l’alleanza tra la Lega e lo Scudo Crociato in Sicilia, in barba ai vecchi slogan dei tempi di Bossi e Miglio, quando il Carroccio era un partito federalista (e non sovranista), nemico giurato della classe dirigente democristiana. Le notizie delle ultime ore confermano che Salvini ultimamente non ne azzecca una (e porta pure sfiga…) e che il ritorno sulla scena politica di Cuffaro non sembra molto diverso da un passato che lo vide fare il pieno di voti ad ogni elezione, fino alla condanna per favoreggiamento verso persone organiche a Cosa Nostra, cui rivelò informazioni strettamente riservate di cui era venuto a conoscenza. L’ex governatore scontò una pena di quasi cinque anni, riuscendo a ripresentarsi sulla scena pubblica come se fosse tornato da una missione umanitaria, nonostante non risulti che abbia mai collaborato con la giustizia italiana in merito ai complessi intrecci tra mafia, politica e affari di cui, verosimilmente, era a conoscenza.
Rivederlo alla presidenza della Regione, come sembrava possibile fino all’altroieri, sarebbe stato il classico ritorno al passato, di quelli che piacciono infinitamente a chi ha costruito curriculum e carriere intorno al malgoverno siciliano, fregandosene dei danni che un certo sistema di potere ha causato nel tempo alla collettività, a partire da quei viaggi della speranza che tanti fanno per curarsi, proprio perchè la sanità è stata utilizzata come un serbatoio di voti e clientele, piuttosto che come un servizio strutturato sulla centralità del paziente (come prevederebbe la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale).
Da alcuni mesi a questa parte, sembravano archiviati definitivamente i tempi in cui i giovani siciliani riempivano le strade di Palermo per chiedere le dimissioni di Cuffaro dopo la condanna per favoreggiamento o organizzavano il Rita Express con i fuorisede di Bologna, spiegando che non volevano tornare per votare, ma “votare per tornare”. C’era stata la grande illusione del governo Crocetta, naufragato tra errori di gestione, cattive influenze (leggasi “sistema Montante”) e la brutta vicenda che portò alle dimissioni di Lucia Borsellino dall’assessorato alla sanità. L’altra faccia del cambiamento ha assunto le sembianze del Movimento 5 Stelle, che si era dimostrato capace di fare il pieno di voti in Sicilia per le elezioni politiche, senza però arrivare alla guida del governo regionale. La “normalizzazione” che portò all’elezione di Musumeci e – soprattutto – di Schifani, aveva ripristinato il vecchio ordine, con l’ulteriore beffa delle adesioni di Giancarlo Cancelleri e Caterina Chinnici al progetto politico dell’ex presidente del Senato. Per completare la restaurazione, mancava – politicamente parlando – l’ultimo tassello: la rielezione di Cuffaro.
In questi anni tanti siciliani hanno visto crescere un grande senso di delusione e disincanto verso questa terra in cui hanno scelto di restare e che ogni volta che sembra sul punto di riscattarsi torna inesorabilmente indietro. Eppure, c’è una parte che continua a credere che non tutto è perduto e che si possa scrivere una storia nuova, fatta di libertà, di giustizia sociale, di servizi che funzionano, di treni che collegano le province dell’isola in tempi europei, di tutela ambientale, ma anche di talento, visione, modernità, entusiasmo.
Non sarà semplice, perchè i cambiamenti non lo sono mai e comportano il coraggio di mettere a rischio la propria comfort zone, nel nome dell’interesse generale. Ma vale ancora la pena di provarci, resistendo alla tentazione di riaffidarsi alle logiche clientelari che hanno prodotto la devastazione politica, sociale e civile in cui la Sicilia continua a trovarsi da troppo tempo.