Dal boom degli anni ’60 al calo odierno: come sta cambiando la gestione dei terreni agricoli italiani

Ninny Bornice

Dal boom degli anni ’60 al calo odierno: come sta cambiando la gestione dei terreni agricoli italiani

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martedì 26 Agosto 2025 - 15:55

C’è un’immagine iconica dell’Italia del secondo dopoguerra: quella di un Paese che, con il “miracolo economico”, si lasciava alle spalle la sua anima prevalentemente rurale per abbracciare un futuro industriale. In quegli anni, l’agricoltura, pur trasformandosi con la meccanizzazione, viveva un’epoca di grande vitalità, con le campagne popolate e produttive. Oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, il quadro è profondamente mutato. L’Italia fa i conti con una lenta emorragia di terreni agricoli, con milioni di ettari, soprattutto nelle aree interne e marginali, abbandonati o gestiti in modo non più redditizio.

Questo calo non è una resa, ma l’inizio di una profonda trasformazione. L’agricoltore o il proprietario terriero contemporaneo è sempre più chiamato a essere un imprenditore, un gestore di un asset che deve trovare nuove vie per generare valore. La domanda centrale non è più solo cosa coltivare, ma come diversificare il reddito in un mercato globale complesso. Per rispondere a questa esigenza è nato un nuovo ecosistema di informazione, volto a esplorare modelli di business alternativi, e a questo proposito segnaliamo i suggerimenti di Sunpark per mettere a rendita un terreno agricolo, che analizzano proprio le opportunità che vanno oltre la coltivazione tradizionale.

Le cause della trasformazione: da centro a margine

Il cambiamento ha radici profonde. L’urbanizzazione ha drenato forza lavoro dalle campagne verso le città. Le politiche agricole comunitarie, per decenni, hanno premiato le grandi produzioni intensive, mettendo in difficoltà le piccole aziende e le coltivazioni su terreni collinari o montani, tipici del paesaggio italiano. La frammentazione delle proprietà, ereditata di generazione in generazione, ha reso inoltre antieconomica la coltivazione di molti piccoli appezzamenti.

Il risultato è un paradosso: da un lato abbiamo un’industria agroalimentare d’eccellenza, dall’altro un patrimonio di terre che rischia il degrado idrogeologico e la perdita di biodiversità a causa dell’abbandono. È proprio in questo scenario critico che l’ingegno italiano sta trovando nuove strade.

Nuovi paradigmi di gestione: la terra come asset multifunzionale

Il futuro della gestione dei terreni agricoli risiede nella capacità di superare la monocoltura, sia in senso letterale che figurato. La terra viene riscoperta come una piattaforma in grado di offrire servizi e produrre valore in modi diversi e integrati.

  • L’energia come secondo raccolto: L’innovazione più significativa è rappresentata dall’integrazione tra agricoltura ed energia. L’agro-fotovoltaico è il modello di punta: impianti solari installati su strutture sopraelevate che permettono di continuare a coltivare il terreno sottostante. Questo approccio genera una doppia rendita, dalla vendita dei prodotti agricoli e da quella dell’energia, e può persino migliorare le condizioni di alcune colture, proteggendole dall’eccessivo irraggiamento solare.
  • Ritorno alla qualità: le colture di nicchia: Molti terreni considerati non redditizi per le grandi “commodities” si rivelano perfetti per produzioni di nicchia ad alto valore aggiunto. Zafferano, piante officinali, tartufi, grani antichi o luppolo per i birrifici artigianali sono esempi di come la specializzazione e la qualità possano garantire una marginalità impensabile per le coltivazioni tradizionali.
  • L’agriturismo esperienziale: Il concetto di agriturismo si è evoluto. Oggi i consumatori non cercano solo un alloggio rurale, ma un’esperienza autentica. I terreni agricoli diventano così lo scenario per percorsi didattici, degustazioni, corsi di cucina, attività di benessere (come lo “yoga in vigna”) o progetti di agricoltura sociale, diversificando le fonti di reddito dell’azienda agricola.
  • I servizi ecosistemici e il “carbon farming”: Una frontiera emergente è quella della remunerazione per i servizi che un terreno gestito in modo sostenibile offre all’ambiente. Attraverso pratiche come l’agricoltura conservativa, la riforestazione o la gestione di aree umide, un agricoltore può contribuire a sequestrare carbonio nel suolo (carbon farming), a proteggere la biodiversità e a regolare il ciclo dell’acqua, servizi per i quali le nuove politiche europee prevedono forme di compensazione economica.

In conclusione, la gestione dei terreni agricoli in Italia sta vivendo una rivoluzione silenziosa. Dall’abbandono e dalla marginalizzazione si sta passando a una fase di riscoperta, basata sulla diversificazione, sulla tecnologia e su una nuova visione imprenditoriale. La terra, da semplice fattore produttivo, torna a essere un capitale complesso, la cui rendita non si misura più solo in quintali per ettaro, ma nella sua capacità di generare benessere economico, sociale e ambientale.

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