Andate al Pride, non fatevelo raccontare

Francesco Vinci

Andate al Pride, non fatevelo raccontare

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mercoledì 30 Luglio 2025 - 06:59

La foto della nonna che dalla sua finestra sventola allegramente una delle magliette della manifestazione, diventata virale nel giro di poche ore, sarà destinata a rimanere probabilmente l’immagine più tenera, più vitale e simbolica del primo Pride trapanese. Un evento, quello del Trapani Pride, finalmente giunto a compimento sabato scorso, grazie all’annoso lavoro di tanti volontari e alla tenacia eroica degli attivisti di Shoruq Arcigay, un’associazione già da qualche anno presente sul territorio, ospitata meritoriamente nei locali della Chiesa evangelica valdese di Trapani.

Chi sperava in un Pride piuttosto ‘provinciale’ o in un’edizione minore rispetto a quelli metropolitani che ogni anno, tra giugno e luglio, si celebrano in tante città italiane, dev’essere rimasto profondamente deluso. Quello del 26 luglio scorso è stato un evento di portata storica, destinato a lasciare il segno sul tessuto sociale della città, difficilmente cancellabile con un’alzata di spalle. Migliaia di persone hanno sfilato orgogliosamente per alcune vie del centro urbano, sfidando il solleone, l’afa, lo scirocco e tutte le correnti più o meno contrarie a quel “vento di rinnovamento” che ha soffiato forte e chiaro come motto e soprattutto come monito per tutto il Trapani Pride 25. D’altronde – come più tardi dal palco di Piazza Vittorio Veneto ci spiegherà Daniela Tommasino, presidente di Arcigay Palermo – la Sicilia è la regione che conta un numero sempre più crescente di Pride: un paradosso forse soltanto apparente, a pensarci bene.

Di ragioni, per partecipare al Pride, ce ne sono tante. Tante almeno quanti sono i colori della bandiera arcobaleno della comunità LGBTQIA+. C’è chi partecipa alla parata con lo stesso spirito laico di chi aderisce a una manifestazione in favore di una giusta causa, superando steccati ideologici, barriere culturali, appartenenze religiose. Chi invece è in prima linea perché continua a scontare sulla propria pelle pregiudizi e discriminazioni per il proprio orientamento sessuale o la sua identità di genere. Chi rivendica con orgoglio l’aspetto prettamente politico e militante dell’evento e il diritto all’autodeterminazione. Chi vuole testimoniare pubblicamente la sua esperienza di vita, dopo essersi condannato per anni all’invisibilità. Chi sente l’urgenza di denunciare in modo pacifico un diritto negato. E c’è chi si lascia semplicemente contagiare dall’atmosfera festosa e libertaria che si respira durante tutta la manifestazione.

Una cosa è certa: per comprendere davvero e fino in fondo l’essenza di un Pride bisogna andarci, essere presenti anima e corpo, contaminarsi con la folla variopinta che sfila festosamente per le strade, e non accontentarsi solo di quello che passano i social, i telegiornali, gli scatti scandalistici, i commenti di circostanza. Né tanto meno affidarsi al brusio dei benpensanti o al sentito dire di chi non c’è mai stato. Soltanto partecipando alla parata si scoprirà che quell’esercito variegato e disarmato è composto, oltre che da attivisti di tutte le età, da persone cosiddette comuni, non soltanto da etichette o da categorie, ma da giovani e da anziani, da disabili, da intere famiglie. Non ci sono confini netti o recinti di protezione: tutte le forme di amore e di sensibilità hanno diritto di cittadinanza. Tanto che già qualche anno fa una delle battute più esilaranti che circolavano nei cortei era “Il Pride non è più una cosa seria: sta diventato troppo etero!”.

Alla parata di sabato pomeriggio – sopra i carri e lungo il corteo – c’è stato spazio a sufficienza davvero per tutti/e/ə: per i boa, i lustrini e le piume di struzzo, per i corpi in libertà e i colori sgargianti, of course. Così come per la sobrietà non meno vistosa e trasgressiva di giacche e cravatte. Ai movimenti coreografici si sono succeduti i passi feriali e composti, più rumorosi a volte di tutto l’allegro casino, di tantissima gente arrivata da ogni angolo della Sicilia. Molti striscioni, slogan goliardici e semiseri, cartelli, sigle e simboli di associazioni, coordinamenti e movimenti queer. Ma nessuna bandiera di partito.

Accanto al palco di Piazza Vittorio Veneto era presente anche un presidio medico per chi volesse fare gratuitamente i test per l’Hiv, un virus che abbiamo più ‘rimosso’ che sconfitto, e di cui sembra conservarsi memoria viva purtroppo soltanto nei pressi della comunità gay.

Giunti a destinazione, dopo la parata, oltre a esibirsi alcuni artisti di respiro locale e internazionale, si sono alternati sul palco attivisti di tutte le latitudini, portavoce di famiglie arcobaleno, operatori sanitari, sindacalisti. Il sindaco di Trapani, chiamato a fare un intervento istituzionale, ha preferito rispondere pubblicamente al messaggio privato di Sabrina, un’amica che aveva definito il Pride letteralmente “una baggianata”. Una strepitosa Ester Pantano, madrina del Pride, alla fine della sua esibizione, si è pure concessa un momento particolarmente incantatorio, intonando sul palco le note di Beautiful di Christina Aguilera.

Uno dei momenti più intensi e davvero memorabili che hanno animato il palco del Trapani Pride è stato poi l’intervento di Josephine Stuccio, circonfusa di luci azzurre rosa e bianche della bandiera transgender. La make up artist trapanese ha raccontato con commozione e struggimento, ma anche tanta sana autoironia, la storia della sua transizione di genere, con i piccoli e grandi traumi, i luoghi comuni, i pregiudizi, le incomprensioni, le mille difficoltà, i momenti imbarazzanti, le situazioni grottesche e il felice approdo di chi affronta coraggiosamente quel percorso. Una performance, quella di Josephine, che richiamava alla memoria, almeno in certi passaggi, il bellissimo monologo di Agrado in Tutto su mia madre di Pedro Almodovar.

Sì, è vero, forse alla fine non sarà soltanto uno schwa a rendere più inclusivo e abitabile il mondo. Può darsi che il rischio più grande sia quello di andare fatalmente incontro a ciò che Pasolini chiamava omologazione. Che comunque non basti, ancora una volta, la retorica dei proclami e dei buoni sentimenti a soffiare sul vento del rinnovamento. Ma in mezzo a tanta palpabile umanità, a tanta esplosione di vita vera, a tanta pienezza di vissuto e di emozioni, a tanta pressante voglia di cambiamento, è un rischio che vale assolutamente la pena di correre.

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3 commenti

  1. Bellissimo articolo, veritiero e passionale. Complimenti 👏👏👏‼️‼️‼️

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  2. Tiziana Tumbarello 30 Luglio 2025 16:55

    ” Tutte le forme di amore e di sensibilità hanno diritto di cittadinanza” …questa te la copio! Graziee, bellissimo articolo.

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  3. Angela Grammatico 2 Agosto 2025 07:47

    Bel pezzo Francesco!
    Bisogna proprio esserci al Pride per comprenderlo, hai ragione. Ma tu ne hai raccontato a pieno l’essenza. Pennellate di realtà

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