L’ebreo e il mito del buon selvaggio palestinese
Sembra vagamente folle di questi tempi sostenere le ragioni di Israele, eppure, è quello che mi accingo a fare in questo breve pamphlet, consapevole dei rischi e delle trappole che si nascondono dietro a queste argomentazioni roventi. È pertanto ragionevole aspettarsi che niente di tutto quello che qui sosterrò potrà smuovere le opinioni di chi ha già abbondantemente preso partito e pensa legittimamente di essere dalla parte giusta della Storia. In questa infinita e dolorosa disputa. Ma magari l’occasione servirà a suggerire se non altro un maggiore approfondimento storico, ad instillare un dubbio o una più profonda consapevolezza rispetto alle posizioni cristallizzate e polarizzate che pare di respirare ogni qual volta salta fuori l’argomento: Israele vs Palestina.
Premessa necessaria e ineludibile è intanto la ferma condanna alla carneficina che il governo di estrema destra Israeliano ha dato vita all’indomani del massacro di 1.200 israeliani ad opera dei terroristi di Hamas in quel drammatico 7 ottobre del 2023. Qua, meglio chiarirlo fin dall’inizio, non è in dubbio il giudizio sulla condotta dissennata di Netanyahu, primo ministro israeliano oltre che guida del partito estremista, il Likud. La mattanza di Gaza e dei territori a sud del Libano, in cui hanno finora perso la vita quasi 50 mila palestinesi, è un atto di guerra criminale difficilmente difendibile da qualsiasi parte si guardi la questione. Presupposto altrettanto necessario è la difesa del diritto di Israele ad esistere e a difendersi così come quello della Palestina di avere uno Stato tutto suo, frutto di un processo di autodeterminazione.
Il conflitto che infiamma da secoli il Medio Oriente, oltre che sul campo militare, diplomatico, politico e culturale, si gioca anche sul piano inclinato dell’opinione pubblica e della Propaganda. Per utilizzare un neologismo, si gioca sull’ Infodemia, ossia l’accuratezza o meno delle informazioni che, circolando liberamente e deliberatamente su web e social, troppo spesso finiscono per distorcere la natura degli elementi del problema stesso. E infatti, prima di tutto c’è bisogno di fare un po’ di chiarezza intorno alla parola Sionismo e sul significato errato che sempre più spesso gli viene attribuito. Sionismo è diventata ufficialmente da tempo una parola cattiva, anzi cattivissima: sinonimo di schizofrenia omicida, sovversione, terrorismo di stato e illegittimità morale. Non è così e vedremo perché. E così, le giuste critiche al governo di Netanyahu, che fa scelte drastiche e deplorevoli, finiscono per ispirare sentimenti di “antisionismo” sulla bocca di tutti. Ma è un grave errore. Essere “antisionista” ha assunto ormai un significato preciso ma completamente distorto: essere contro la guerra, contro la violenza, contro il sopruso e le ingiustizie. Come se il sionismo fosse automaticamente violenza, ingiustizia, guerra e sopruso. In questo slittamento semantico, non è raro che il concetto di Antisionismo venga sovrapposto a quello di Antisemitismo, con tutte le conseguenze del caso. Purtroppo succede a molti: sia a gente che si informa, nel migliore dei casi sui social, ma anche, cosa meno accettabile, a professori universitari, giornalisti e opinionisti, che da questo punto di vista dovrebbero avere ben poche attenuanti.
Ma che cos’è allora il sionismo? In breve, si tratta di un movimento storico che nasce in Europa, affine a quei movimenti risorgimentali di stampo nazionale e nazionalista, fermento di idee e popoli che caratterizzarono la seconda metà dell’Ottocento. Un processo simile, per capirci, portò in quello stesso periodo alla nascita di nazioni quali l’Italia e la Germania, come grosso modo siamo abituati a conoscerle. Il Sionismo storico non è, dunque, come ritengono superficialmente alcuni, espressione di un disegno Imperialista e Colonialista europeo, di Suprematismo oppure frutto in qualche modo di un Complottismo di stampo giudaico massone. Il Sionismo ha piuttosto radici ideali spirituali e storiche legate all’Autodeterminazione, alla Libertà e alla Liberazione del suo popolo, il popolo ebreo, e nasce dal suo desiderio di riconoscimento etnico, linguistico e anche religioso. All’interno del movimento sionista poi, come è ovvio, ci sono state e ci sono diverse anime e una grande varietà di posizioni politiche: il socialismo di stampo internazionalista e marxista, una posizione più libertaria e moderata e, certamente, anche il nazionalismo di destra che sconfina nel razzismo, nel suprematismo e nell’estremismo religioso di cui Netanyahu e il suo Likud sono, purtroppo, piena espressione.
Malauguratamente oggi proclamarsi Anti Sionista per molti è come professarsi Anti Razzista, Anti Fascista, Anti Suprematista, Anti Colonialista…Una confusione non da poco. Ma il sionismo in sé, ripeto, non è fascista per definizione. Il sionismo è semmai l’ideologia alla base del pluralismo di cui Israele è la manifestazione più concreta. Allo stesso tempo, però, bisogna riconoscere che, con il mutare dei rapporti politici interni alla società israeliana, si è venuto a delineare una sempre più forte e decisiva componente di estremismo destrorso, quella attualmente al potere, che sta contribuendo ad alienare le residue simpatie alla parte sana e democratica di Israele. E questo è un aspetto molto importante da capire, quasi decisivo.
Ma purtroppo, chi si definisce antisionista nella stragrande maggioranza dei casi ignora bellamente tutto ciò. E spesso confonde la critica, peraltro legittima, al governo Netanyahu e il suo operato con l’accusa di sionismo. Pertanto, se si è tentati di bollare di illegittimità il desiderio del popolo ebraico di avere un proprio stato, così come l’hanno avuto la Germania, l’Italia e tutti gli altri stati in cui si è prodotto un processo di autodeterminazione, beh allora ci si deve quanto meno fare qualche domandina …ina ina. Perché ripeto, non c’ è nulla di illegittimo nel desiderio del popolo ebraico di avere il proprio stato. E se qualcuno dice il contrario, allora questo qualcuno manifesta un problema con quella parola che finora è rimbalzata senza mai prendere la sua forma precisa e definita che possiede, ossia: Antisemitismo. A riprova di ciò, nessuno, se non le dirette controparti politiche, si sognerebbe di giudicare “illegittima” l’aspirazione del popolo curdo, di quello ceceno e anche del popolo ucraino il quale, per lo stesso identico motivo, da due anni è impegnato al fronte in una sanguinosa guerra contro Putin, il quale vuole strappare loro, giustappunto, quella legittimità ad essere “nazione”. Perché allora, mi chiedo, per curdi, ceceni e ucraini sostenere la propria nazione può e deve essere legittimo, e non deve invece esserlo per Israele?
Ed eccoci arrivati al punto nodale: la Storia. Alla fatidica domanda, cioè, se sia nato prima l’uovo o la gallina. Non è certamente questa la sede per una disamina storica approfondita nei secoli dei secoli, dai tempi dei profeti biblici ad oggi, ma certamente qualche idea ben chiara ce la si può fare accennando almeno agli ultimi cento anni. L’idea che i territori di Israele siano il frutto di una usurpazione ai danni dei possessori arabi è moneta corrente fra l’opinione pubblica. Peccato però che non sia andata esattamente in questo modo. O almeno, non prevalentemente. Ed ecco alcune ragioni per rivedere quelle posizioni. La prima ragione è che quella zona del mondo ha avuto diversi proprietari, tanti cambi di bandiera e di colore. Difficile dire chi fosse il vero autoctono. All’altezza della fine della prima guerra mondiale, questi territori appartengono tutti all’Impero Ottomano che, da alleato della Prussia, perde rovinosamente la Grande Guerra. All’indomani dello sfarinamento dell’impero ottomano, con i successivi negoziati post bellici, in cui i protettorati di Francia e Gran Bretagna giocano un ruolo decisivo, si determina la possibilità di acquisto di molti di questi territori fino ad allora in mano ai signori feudali arabi-ottomani. Molte di queste terre aride e brulle vengono così comprate, a caro prezzo pare, da grandi fondi ebrei e rivendute prevalentemente a famiglie ebree che abitavano già nelle aree limitrofe: Egitto, Giordania, Siria, Arabia. Quindi il passaggio di proprietà di molte fette di territorio, molto prima della Shoah e della costituzione dello stato di Israele in seguito alla risoluzione dell’Onu del 1948, è già nelle mani di ebrei. Ad oggi pertanto la vera colpa degli ebrei sembra quella di avere avuto, in quell’occasione dirimente, più risorse rispetto ai frontalieri arabi. Più soldi quindi. Tutto ciò ovviamente è accaduto non senza che si producessero immani violenze, eccidi e vere pulizie etniche: la strage di Gerico del 1920, il massacro di Hebron del 1929 solo per citarne un paio. È negli anni Trenta che si registra un impressionante flusso di immigrati ebrei dall’Europa che sconvolge definitivamente l’equilibrio demografico dell’area incontrando una sempre più crescente ostilità da parte della popolazione araba. C’è una grave conseguenza che si determina in quegli anni decisivi che darà il là alle future battaglie, sprofondando quel martoriato territorio in una infinita spirale di odio fino ai giorni nostri, senza possibilità di ritorno: il rifiuto categorico di convivenza, da parte araba, con questa nuova massa di ebrei. E il giuramento di odio eterno fino alla loro completa estinzione. Quella è probabilmente l’ultima opportunità che gli arabi non hanno voluto e saputo cogliere, prima della creazione del propriamente detto stato di Israele, nel 1948. Su tutto prevale un sentimento di odio viscerale contro il popolo di Yahweh , misto ad una fortissima componente antisemita, le cui ceneri non hanno probabilmente mai smesso di covare.
Peccato, verrebbe da dire, perché oltre all’opportunità di poter recidere definitivamente la dipendenza con le potenze coloniali europee, si perde l’ultima occasione di ammodernamento, progresso ed istanze di modernizzazione che il flusso di immigrati ebrei dall’Occidente avrebbe potuto convogliare in tutta la regione. Con tutto quello che ne poteva conseguire: a partire da un ruolo socialmente più elevato delle donne, nuove competenze tecniche che potevano entrare finalmente dalla porta principale, una cultura sindacale del lavoro e tutta una serie di diritti che in quella parte infelice di mondo, il “mare arabo”, si sarebbero purtroppo fatti attendere ancora fino ai giorni nostri. Diritti che, con il tempo la democrazia –seppure imperfetta- di Israele si è impegnata ad estendere fino ai giorni nostri, ai propri cittadini: con il riconoscimento verso gli omosessuali, i transgender e l’estensione tout court dei diritti civili. Frutto, va da sé, di un processo democratico impiantato nel bel mezzo di un mondo, quello arabo-islamico circostante, arretrato, per certi versi di stampo medievale, e spesso lasciato in mano a violenti gruppi di potere terrorista che ne hanno fatto il bello e il cattivo tempo.
Dall’altra parte del filo spinato, piaccia o non piaccia, la creatura d’ Israele, con tutti i difetti del caso, è lì davanti agli occhi di tutti. Un melting-pot con la ricchezza del suo meticciato, in cui agli ebrei “autoctoni” si sono via via mescolati ed innestati gli ebrei venuti da tutto il mondo conosciuto: dalle Americhe, dall’Europa, dalla Russia. Ecco probabilmente cos’è il vero sionismo: la sintesi di tutte queste cose messe insieme che fa di Israele un paese vivo, estremamente variegato, pulsante di culture, di lingue, di posizioni politiche ed orientamenti diversi e, soprattutto, di libertà.
Se non fosse che, ma a questo punto si aprirebbe un capitolo molto lungo e complicatissimo, arriva il colpo di scena: l’Occidente sembra d’un tratto voler rigettare (incomprensibilmente) la propria creatura “mostruosa”. E piuttosto che guidarla, correggerla, supportarla nel suo incerto e pericolante cammino, trova invece il modo di sfilarsene. E specialmente a “sinistra” di quell’occidente, un tempo sodale imprescindibile di Israele, cominciano a comparire i fantasmi sempre più spaventosi del Suprematismo, del Colonialismo, in una parola, dell’Anti Sionismo. Succede probabilmente nei salotti buoni di New York, di Londra e Parigi, quando comincia ad imperversare sempre più forte il vento del “progressismo terzomondista”, con la riesumazione del mito del “buon selvaggio”. E allorché la narrazione del “povero arabo palestinese” si sostituisce giorno dopo giorno alla parabola dei nativi americani, ecco che il gioco è fatto. Senza considerare che troppo spesso i feroci terroristi di Hamas hanno goduto da parte dell’occidente di un trattamento a dir poco morbido e sono stati trattati con molta sufficienza e con troppa, davvero esagerata indulgenza. Ma qui sconfiniamo nel vasto territorio della provocazione.
Per chiudere. Tutto questo letame, e come altro chiamarlo ?! ovviamente esula dal profondo dolore e dall’indicibile sofferenza che procura vedere le immagini di civili, bambini e anziani uccisi dalla furia cieca dei bombardamenti israeliani. Proprio nel momento in cui scrivo, arriva il nuovo bollettino aggiornato con i dati ufficiali dal 7 ottobre 2023 ad oggi: a Gaza oltre 43.160 morti; in Libano più di 2.790 persone morte. Nessuna giustificazione a tutto questo orrore. Ma purtroppo, se vogliamo capire tutto questo, bisogna lasciare da parte l’emotività e questo oltraggio all’animo umano che la guerra porta con sé e separarlo dalla valutazione dei fatti storici e da quello che ha portato a tutto questo. E, ci possiamo purtroppo scommettere, non basterà scendere in piazza a Roma come a Berlino, a Copenaghen come a San Francisco, urlando al mondo intero di essere antisionisti, sventolando la bandiera palestinese, indossando la kefiah e scandendo slogan intrisi di odio contro gli ebrei, a risolvere questo dannato problema.
Gianvito Pipitone