E così se n’è andato pure Giovanni Lombardo, appartatissimo poeta marsalese, vivace e soave animatore culturale, operatore di pace sempre presente sul fronte dei diritti: una delle intelligenze più acute del territorio, un Maestro discreto il cui nome negli ultimi anni era noto soprattutto agli addetti ai lavori, proprio per la sua naturale propensione a schivare ogni forma di protagonismo spicciolo. Una vita, quella di Giovanni, divisa laicamente tra la curiosità intellettuale, l’impegno civile e politico, l’attività letteraria tanto appassionata quanto deliberatamente marginale e dispersiva, e una incessante ricerca religiosa che lo aveva portato ad approdare presso la Chiesa evangelica valdese.
Esponente dell’Antigruppo siciliano, come il suo compagno e sodale di una vita Antonino Contiliano, e legato fino alla fine a un’idea del fare e del diffondere poesia in forma prevalentemente artigianale e ‘proletaria’, i testi di Giovanni Lombardo sono ora tutti da recuperare e da (ri)scoprire, ma soprattutto da disseppellire, perché molto spesso si affidavano a raccolte a tiratura limitata o a edizioni sibi et paucis, a fogli semiclandestini – quando non al ciclostile, al volantinaggio e alle autoproduzioni. Un patrimonio da salvaguardare. Da questo punto di vista, la figura di Giovanni Lombardo può essere forse accostata a quella di uno straordinario irregolare della poesia italiana come Roberto Roversi.
Se si eccettua infatti la prova d’esordio Il cammino del cuore del 1963, da considerarsi soprattutto una sorta di eserciziario giovanile, seguìta dalla più matura plaquette Gabri (1967) in cui confluiscono i versi amorosi dedicati alla moglie Gabriella, l’unica raccolta organica dell’autore marsalese si può considerare Il giardino di Marianna, pubblicata a Brescia da Cooperativa Popolare di Cultura nel 1977. I testi sono perlopiù antilirici, parattatici, narrativi, occasionali, spesso frontalmente votati all’impegno pacifista e antimilitarista, segnati da quella stagione di grandi fermenti e da quella fucina di sperimentazioni linguistiche che furono gli anni Settanta, che poco o nulla concedono a qualsiasi facile retorica ‘poetica’. La poesia è in primo luogo uno strumento di lotta e di denuncia. E i versi di questa raccolta, provenienti in massima parte da operazioni di volantinaggio, sono quelli di un cristiano anticlericale, allergico ai dogmatismi religiosi ideologici o culturali – con tutto il suo pragmatico armamentario di illuminazioni, indignazioni, sarcasmi, piccole e grandi utopie – che si potrebbero forse ricondurre, per certi aspetti, ad alcuni autori della Beat Generation o alla poesia polemica e satirica di Prèvert. Si pensi a componimenti come Preghiera del capitalista in cui prevale evidentemente il gusto della parodia: “Padre nostro che siedi in Washington / e da lì dirigi il nostro dominio sulle masse / (…) / Sempre venga in nostro soccorso / la forza del tuo splendido ricatto atomico / e delle tue banche mondiali / gonfie dei rastrellati risparmi di tutto il globo”.
Giovanni Lombardo possedeva infatti, tra le altre, una dote salvifica sempre più rara a trovarsi in un tempo come il nostro in cui i poeti sembrano tornati a prendersi tristemente un po’ troppo sul serioso: l’autoironia. E i testi degli ultimi anni, che ormai faceva circolare soltanto in piccoli quaderni autoprodotti o nella posta elettronica della ristretta cerchia degli amici, pur non perdendo l’urgenza dell’impegno e della militanza politica, oltre a quella dello scambio e del dono amicale, hanno in larga misura i connotati del gioco e del disincanto. Come nei versi lapidari (datati marzo 2021) di Strano, uno dei suoi tanti inediti destinati a pochi lettori, in cui sembra prefigurare beffardamente la sua morte: “Strano, apro gli occhi da quel sonno potente. / Mi alzo. Cerco, guardandomi attorno / per tutta la stanza. / Non ci sono più”.
Interessante questo commento – rievocazione del prof. Giovanni Lombardo. A volte mi incontravo con lui e ci salutavamo di passaggio all’Auser, lui uscendo dopo la conferenza e io entrando per lo stesso motivo, o al contrario. Non sapevo che avesse le particolari profondità che noto nella recensione. È che non ci conoscevamo realmente. Mi dispiace di non averlo ascoltato, se non poche volte che ha parafrasato la Divina Commedia.