Messina Denaro, un anno dopo

Vincenzo Figlioli

Punto Itaca

Messina Denaro, un anno dopo

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martedì 16 Gennaio 2024 - 06:35

Lo abbiamo atteso quasi trent’anni. Lo abbiamo invocato, come se fosse la formula esatta per sciogliere un incantesimo. Lo abbiamo immaginato come l’inizio di una nuova era, in cui potessero spezzarsi antiche catene. Finalmente, il grande giorno è arrivato, esattamente un anno fa. Le immagini che hanno accompagnato l’arresto del boss latitante Matteo Messina Denaro hanno fatto il giro del mondo, per settimane i telegiornali nazionali sono tornati a interessarsi della Sicilia e della provincia di Trapani, celebrando la storica cattura e snocciolando approfondimenti sulla cartella clinica del boss – ormai malato terminale – sulle sue amanti, le sue abitudini e i suoi gusti cinematografici. Qui al fronte, nell’estremo lembo occidentale dell’isola, abbiamo continuato ad attendere che si passasse dalla cronaca di costume alla sostanza, immaginando che lo storico arresto avrebbe fatto crollare, almeno in parte, il complesso groviglio di connivenze e complicità che hanno alimentato la latitanza di Matteo Messina Denaro, così come i suoi business.

Un anno dopo ci ritroviamo a constatare con amarezza che è emerso ben poco di nuovo. Chi ha sempre praticato con convinzione la lotta alla mafia ha continuato a farlo, chi ha manifestato un’attenzione sporadica al tema ha mantenuto le proprie abitudini e chi era dalla parte del boss non ha certo cambiato idea. La provincia di Trapani continua ad occupare gli ultimi posti nelle classifiche sulla qualità della vita dei suoi cittadini e i giovani continuano ad immaginare altrove il proprio futuro. I magistrati e le forze dell’ordine hanno continuato a indagare, c’è stato qualche arresto tra i fedelissimi, ma la sensazione è che il sistema che ha tenuto in piedi la latitanza di Matteo Messina Denaro sia ancora perfettamente in piedi.

Eppure sappiamo – perchè lo dicono altre indagini e lo suggerisce la logica – che ci sono rappresentanti del mondo politico, dell’imprenditoria, delle professioni che avrebbero avuto tanto da dire, a maggior ragione dopo la morte (annunciata) del boss. Hanno continuato a scegliere l’omertà, il silenzio, perchè in quel sistema hanno trovato la loro convenienza e nulla li terrorizza più di un cambiamento che metta a rischio l’amata comfort zone. Come nelle peggiori tradizioni della nostra terra, hanno scelto di calarsi come giunchi, nell’attesa che passasse la piena. Sembra quasi di vederli, con lo sguardo circospetto da consumati giocatori di poker, mentre aspettano un nuovo papa da ossequiare e con cui condividere strategie e business, in spregio al bene comune.

A tutti gli altri, con la stessa fatica di sempre, tocca dimostrare, per dirla con Paolo Borsellino, che si può ancora scommettere sul riscatto di questa terra opponendo il fresco profumo di libertà “al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.

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