Arriverà il momento in cui ci riaffacceremo alla vita e cercheremo di riprenderla dal momento in cui ce la siamo lasciata alle spalle. Bisognerà riavvolgere il nastro e ripartire.
E, pensando a quel momento, mi è venuta in mente la frase con cui Tortora decise di riprendere il dialogo col suo pubblico dopo anni di detenzione ingiusta e inaspettata, di lontananza forzata dalla televisione e dal suo pubblico.
“Dunque, dove eravamo rimasti” iniziò, o meglio: tentò di ricominciare. E in questa frase c’era tutta la voglia di includere, metabolizzare e chiudere con l’incubo che lo aveva ingoiato da un giorno all’altro. Ripartire dallo stesso studio, con la stessa scenografia, lo stesso pappagallo riottoso di prima, di sempre.
Basterà qualche puntata per capire che dell’Italia, del pubblico e anche del presentatore di prima era rimasto ben poco. Cambiati i ritmi, cambiati i gusti, cambiata la vita. Quello che era successo a Tortora aveva creato una fessura tra lui e il suo pubblico. La tragedia era entrata nello show. Impossibile rilassarsi, evadere, guardando Tortora.
Credo che avvertiremo la stessa sensazione di crepa temporale quando finalmente usciremo dalle porte delle nostre case e finalmente potremo scendere per strada: ritroveremo il catalogo delle “cose di sempre” enormemente impoverito. E, al momento, crediamo che a venir intaccata sarà solo la lista del superfluo. Ma non è scontato. Lo sanno bene le famiglie delle vittime di questa epidemia, ad andarsene senza un ultimo saluto, senza neanche un funerale, sono stati i volti di una vita, i volti di sempre: padri, madri, fratelli, sorelle, zii, amici, vicini di casa, colleghi. Anche figli.
E lo stesso vale per alcuni lavori: ci saranno saracinesche lungo i corsi storici delle nostre città che non si alzeranno più. Molti esercizi, molti negozi, molte aziende storiche, il lavoro “di sempre” di alcune famiglie, non ci saranno più. E così per alcune abitudini elementari come darsi la mano, abbracciarsi, baciarsi, sedersi accanto al cinema, in teatro, in attesa in banca, alla posta.
Eppure, per ripartire, sarà utile fare l’elenco del “dove eravamo rimasti” e calcare quel “dunque” all’inizio della frase, perché è la volontà che vince sullo scoramento.
Quando apriremo le saracinesche dei nostri negozi pieni di articoli “sbagliati”, perché inattuali, non adatti alla nuova realtà, sarà doloroso, sarà dolorosissimo, saremo costretti a svendere o mandare al macero con loro l’idea di futuro che avevamo progettato e immaginato per noi. Ma un inventario sarà necessario, perché in mezzo a quella marea di cose – idee ormai inutilizzabili – troveremo quelle che invece sono ancora buone o utili, o quelle che hanno bisogno solo di una rinfrescata o di un adattamento o quelle che ci apparivano vecchie o fuori moda e che, invece, messe da parte nell’ultimo angolo del magazzino, ora ci appaiono assolutamente adeguate, utili ad affrontare la nuova realtà.
I cambi di epoca hanno questo di interessante: fanno saltare gli aggettivi “romantico” e il suo contrario “utile” da un oggetto e da un’idea all’altra. L’idea che avevamo preservata come romantica e quindi inattuale solo ieri, ci appare oggi assolutamente percorribile. E viceversa.
E lo stesso succederà quando ci riapproprieremo degli spazi “di sempre”: quando ritorneremo nelle case dei nostri genitori, dei nostri fratelli e sorelle e amici; quando torneremo ad aprire le case dei cari che non ci sono più e ci dovremo far carico delle loro vite rimaste sospese sugli oggetti di ogni giorno; quando finalmente potremo dare loro una giusta sepoltura, lasciare un fiore, ricordare il tempo trascorso insieme e rimuginare su quello perduto, sulle parole non dette, sugli abbracci non dati.
Per alcune cose il “dunque, dove eravamo rimasti” sarà, per forza di cose, un doversi abituare all’idea che quello che c’era prima non c’è più. Ciò che era possibile prima, ora non lo è più.
Da molte altre, invece, sarà possibile ripartire. Magari facendo l’esatto contrario.
Dunque, dove eravamo rimasti…
Eravamo rimasti che picchiavamo i medici nei pronto soccorso.
Eravamo rimasti che picchiavamo gli insegnanti a scuola e ne mandavamo in giro i video sui social.
Eravamo rimasti con ospedali e scuole incompiuti dopo decenni e milioni di euro spesi.
Eravamo rimasti che parlavamo delle ragioni dei No Vax. Lo Stato aveva deciso: multe e sospensione dalla scuola per i bambini non vaccinati. Ma il dibattito continuava ad imperversare sui social e sui media.
Eravamo rimasti alle fakenews che imperversavano e inquinavano il dibattito pubblico a tal punto da alterare le elezioni dei paesi democratici.
Eravamo rimasti al Festival di Sanremo come uno dei pochi riti nazional popolari e a Bugo e Morgan e alle performance di Achille Lauro.
Eravamo rimasti con un’economia in stagnazione, il maggior numero di giovani che non lavorano e non studiano rispetto agli altri paesi Europei e l’attenzione allo spread.
Eravamo rimasti che l’Europa era cosa buona.
Eravamo rimasti che l’Europa e l’euro ci avevano rovinati.
Eravamo rimasti alla Brexit.
Eravamo rimasti all’emergenza terrorismo islamico.
Eravamo rimasti che chiudevamo i porti e i centri di prima accoglienza.
Eravamo rimasti con gli immigrati usati come schiavi nei campi al Sud e dalle industrie al Nord. E nelle nostre case a badare ai nostri vecchi, in tutto il Paese.
Eravamo rimasti che il problema erano gli immigrati.
Eravamo rimasti con il lavoro nero a percentuali a doppia cifra.
Eravamo rimasti con la Chiesa che non fa abbastanza, anzi non fa niente.
Eravamo rimasti che le ONG facevano del bene.
Eravamo rimasti che le ONG erano buoniste.
Eravamo rimasti che i nostri giovani più preparati andavano fuori dall’Italia per realizzare i propri sogni.
Eravamo rimasti con circa il 30% di disoccupazione giovanile, la più alta in Europa.
Eravamo rimasti che tagliavamo la spesa su sanità, scuola, ricerca, cultura.
Eravamo rimasti con Greta Thunberg che radunava folle oceaniche di giovani adolescenti in tutto il mondo e ci chiedeva di cambiare gradualmente le nostre abitudini, riconvertire gradualmente l’economia, distribuire meglio le risorse per salvare il pianeta.
Eravamo rimasti con le temperature più alte di sempre, i ghiacciai dell’artico che si scioglievano e le foto degli orsi polari che morivano d’inedia.
Eravamo rimasti con l’Australia in fiamme.
Eravamo rimasti con gli insegnanti precari, i medici precari, i giudici di pace precari, tutti i lavoratori precari.
Eravamo rimasti al reddito di cittadinanza e ai navigator.
Eravamo rimasti con gli uffici di collocamento che non funzionavano ed erano incapaci di recepire qualunque riforma del lavoro.
Eravamo rimasti che dovevamo puntare su turismo e cultura.
Eravamo rimasti con politiche per la famiglia insufficienti e un tasso di natalità sotto lo zero. Ogni 100 morti, solo 67 nuovi nati.
Eravamo rimasti con la macchina burocratica più caotica d’Europa.
Eravamo rimasti con la Pubblica Amministrazione più incapace e corrotta dei paesi occidentali.
Eravamo rimasti con la giustizia più lenta d’Europa.
Eravamo rimasti con il sistema di tassazione più farraginoso e quindi iniquo d‘Europa.
Eravamo rimasti che dovevamo tagliare il numero di parlamentari, le loro indennità, i privilegi.
Eravamo rimasti che uno vale uno.
Eravamo rimasti con Conte, Salvini, Renzi, Di Maio, Grillo, Zingaretti, Meloni e le Sardine in piazza.
Eravamo rimasti ancora a Berlusconi.
Eravamo rimasti con la destra sovranista in crescita e data vincente.
Eravamo rimasti con la sinistra che vinceva comunque in Emilia Romagna e la destra che vinceva comunque in Calabria.
Eravamo rimasti con le Sardine che si facevano la foto con i Benetton.
Eravamo rimasti con l’Italia ancora divisa tra un Nord efficiente e ricco e un Sud arretrato e povero.
Eravamo rimasti con Milano capitale morale ed economica d’Italia.
Eravamo rimasti con l’acqua alta a Venezia e il Mose che non si sa se funziona.
Eravamo rimasti con Roma invasa dai rifiuti, con gli autobus che prendevano fuoco, le scale mobili della metro che crollavano ingoiando turisti. I topi, le buche, la destra estrema per strada.
Eravamo rimasti con i terremotati dell’Umbria nelle case prefabbricate, con il ponte di Genova in costruzione, con i viadotti delle autostrade che continuavano a crollare.
Eravamo rimasti con i pastori sardi che versavano il latte per strada.
Eravamo rimasti con la Sicilia con i treni che ci mettono 4 ore per fare Trapani – Palermo.
Eravamo rimasti con la Salerno Reggio Calabria incompiuta.
Eravamo rimasti che si parlava ancora del ponte sullo Stretto.
Eravamo rimasti che la scelta tra salute e lavoro riguardava solo Taranto.
Eravamo rimasti con l’emergenza femminicidio.
Eravamo rimasti che Camorra, Ndrangheta e Mafia avevano inquinato tutta l’economia italiana.
Eravamo rimasti che l’antimafia era rappresentata dal caso Saguto.
Eravamo rimasti con le carceri sovraffollate e un numero esagerato di suicidi tra detenuti e personale carcerario.
Eravamo rimasti che la famiglia Cucchi aveva finalmente ricevuto giustizia.
Eravamo rimasti che c’erano i buonisti.
Eravamo rimasti che ci vorrebbe l’uomo forte per risolvere tutti questi problemi.
Eravamo rimasti comunque democratici.
Eravamo rimasti che portavamo noi a spasso i cani.
Eravamo rimasti che la Bellezza ci avrebbe salvati e invece bastava lavarsi bene le mani.
Renato Polizzi
Grande Renato, come sempre dimostri di essere un bravissimo giornalista, riesci ad comunicare quello che proviamo in tanti.
Condivido in toto il Tuo pensiero.
Complimenti.
Maurizio