Tra le vittime eccellenti del coronavirus c’è Vittorio Gregotti, decano degli architetti italiani, morto ieri all’ospedale San Giuseppe di Milano all’età di 92 anni per una polmonite da Covid-19.
Il nome di Gregotti è legato al territorio trapanese perché agli inizi degli anni ’70 aveva tra l’altro progettato, con Giuseppe e Alberto Samonà, il palazzo municipale di Gibellina Nuova, durante il periodo della ricostruzione. A chiamare Gregotti per la realizzazione del progetto fu Ludovico Corrao.
Originario di Novara, ma milanese d’adozione, urbanista di fama internazionale, Gregotti ha realizzato più di mille e cinquecento progetti in Italia e all’estero, tra cui il controverso quartiere ZEN di Palermo, ed è stato uno dei padri della moderna architettura italiana. Unico architetto a far parte attivamente del “Gruppo 63”, invitò a collaborare a un progetto della Triennale Umberto Eco, Luciano Berio e Furio Colombo, fregiandosi di avere più amici tra gli scrittori e gli artisti che tra gli architetti, anche se nel 2017 aveva chiuso il suo studio meneghino, nell’amara consapevolezza che “l’architettura non interessa più a nessuno”, come aveva dichiarato nel corso di un’intervista a “La Repubblica”.
Tra le tante testimonianze di queste ore per ricordare la figura e le realizzazioni di Vittorio Gregotti, colpisce quella di Stefano Bucci che sul “Corriere” parla di un temperamento ruvido e intransigente che “non faceva mai sconti, nemmeno agli amici, nemmeno a chi stimava: era, insomma, un uomo scomodo”, ma allo stesso tempo “un uomo che sapeva ascoltare e che amava il confronto”.