Fino al 23 giugno prossimo sarà possibile visitare nell’atrio del Collegio di Gesuiti di Alcamo l’esposizione degli scatti del fotografo alcamese realizzati sulla grande isola africana. Nella sua intervista l’autore del reportage ha spiegato le ragioni che hanno portato alla creazione dell’iniziativa, a scopo benefico, allestita in occasione della festa della Patrona.
Come nasce questo progetto?
La mostra nasce da un viaggio che ho fatto a marzo, in Madagascar, assieme a padre Mario Bonura, tramite l’associazione “Per chi soffre” onlus. Il presidente di questa associazione è Marzio Bresciani, l’ex sindaco di Castellammare del Golfo. È stato un viaggio di 24 giorni. In questi 24 giorni abbiamo visitato molti luoghi del Madagascar. Abbiamo percorso circa 1500 km con la macchina e ci siamo spostati da nord a sud e da est ad ovest (dell’isola ndr), portando aiuto a diverse popolazioni del luogo. Tramite i missionari abbiamo conosciuto anche tante altre realtà. Io sono partito perché già da molto tempo volevo andare in Africa e, finalmente, ho avuto il coraggio di andare in Madagascar. Ho fatto tanti altri viaggi e tanti altri lavori, ma questo è stato un viaggio umanitario. Quindi, è stato completamente diverso da altri lavori, anche delegati e pagati, che ho fatto e che ho avuto l’opportunità di fare. Ho cercato di raccontare il Madagascar da un punto di vista più oggettivo possibile perché non sono state fotografate né realtà turistiche né delle cose che erano troppo tristi dell’Africa, anche se ci sono. Ho cercato di raccontare la vita quotidiana dei malgasci con tutte le loro sfaccettature umane, perché, poi, la cosa più bella del Madagascar è il rapporto che si viene a creare con questa popolazione. Le 60 fotografie della mostra vogliono essere un tramite per sensibilizzare e far conoscere. Sicuramente anche per aiutare fattivamente, mediante le donazioni a distanza, il 5 per mille e il ricavato delle vendite delle fotografie, la popolazione malgascia. Il reportage è un po’ la base della fotografia. Tutti i più grandi fotografi, che si sono distinti nella storia della fotografia, hanno cominciato dal reportage. E, forse, è una delle cose più nobili che resta ancora della fotografia.
Questa è la quarta mostra che ha esibito in città dopo quelle su Cuba, New York, Instanbul-Dubai. Come mai ha scelto queste mete?
Ho sempre conciliato il fattore lavorativo con quello di realizzare delle immagini che potessero raccontare quei luoghi. Sono stato a New York per fare servizi di wedding, matrimoniali e, invece, sono stato sia a Instanbul che a Dubai, lo stesso anno, durante l’organizzazione della fashion week. Quindi, sono andato perché mi hanno delegato dei servizi di moda. Poi, ho fatto una mostra fotografica che raccontava anche il sociale. Avendo qualche giorno libero, poi, che fai? In maniera fisiologica esci con la macchina fotografica e cerchi di raccontare il luogo, a differenza del Madagascar che è stato un progetto pensato già agli albori in maniera più strutturata. Dal mio punto di vista è la cosa più importante che abbia mai fatto come mostra fotografica.
Come avviene il passaggio da fotografo dei villaggi turistici, che si occupa dei matrimoni, delle sfilate di moda, a fotografo di reportages di realtà forti come Cuba e il Madagascar?
Il mestiere del fotografo non è etichettabile in un determinato genere. La cosa più bella della fotografia è appunto il racconto. Quindi, si possono raccontare tante situazioni. Ti pagano per raccontare fondamentalmente. Se ti capita di raccontare la moda, e c’è qualche cliente che ti commissiona qualche lavoro, devi pubblicizzare, in quel caso, quella determinata situazione. Se ti scelgono per fare le foto di un matrimonio, che è una cosa molto importante nella vita di una persona, devi cercare di documentarlo nella maniera più giusta e professionale possibile. E la stessa cosa avviene quando devi fare un reportage di un luogo. Una volta c’erano vari tipi di fotografia. C’era il fotografo dei matrimoni, il fotografo di moda, di reportage. Non mi etichetto in niente di tutto questo. L’essere fotografo con la “f” maiuscola, lasciando stare il fatto di essere un fotografo professionista, è un bel mestiere perché ti permette di stare a contatto con la gente. Per fare il fotografo devi essere sicuramente una persona curiosa, appassionata di tutto, perché è la curiosità che ti fa andare avanti. Poi, sicuramente, il fotografo è come un autore. Tutti possiamo scrivere, però, alla fine c’è chi scrive perché scrive e ci sono i giornalisti, gli scrittori che scrivono. Quindi, c’è una differenza tra fare fotografie ed essere un autore. Fare il fotografo è un lavoro, un mestiere. L’importante è cercare di fare a tuo modo tutto quello che fai, con amore e con arte. Quindi, tutto quello che faccio deve essere collegato ad un discorso di cuore. Se le cose stanno nella testa e nel cuore, di conseguenza, riescono bene, qualunque lavoro delegano ad una persona. L’importante è che una cosa non può scindere dal fattore di piacere personale. Per me, quindi, la coerenza nel lavoro sta in questo. Siamo in un periodo in cui l’immagine, le fotografie sono spiattellate sul web in ogni modo e in ogni dove. Tutto visto dall’esterno può sembrare buono. Però, la verità è che ci sono sempre meno fotografi nonostante ci sono più mezzi, come i telefonini, macchine fotografiche, ma ci sono meno autori. Non basta solo saper utilizzare la tecnologia. La tecnologia è alla portata di tutti. Il problema è di cercare di fare le cose con mestiere che è quello che manca a molte persone che fanno questo lavoro. Tutto questo con il passare del tempo si vede. Nessuno ti regala niente. Se una persona è longeva nel tempo lo è perché cerca di lavorare sempre, come la mia famiglia che lavora da 30 anni. Non siamo scomparsi perché forse abbiamo avuto un’etica ed una deontologia nel fare quello che abbiamo fatto professionalmente.
Quali altri progetti ha in mente? Ne ha uno in particolare?
Normalmente non scelgo. Vi sono delle opportunità che mi vengono proposte e poi le accetto. Spesso volevo fare altre cose, come nel caso della moda. Era un periodo in cui conciliavano più servizi. Mi piacerebbe seguire questo filone: raccontare i paesi dal mio punto di vista. Ogni città, ogni posto dove vai ha delle dinamiche diverse. A Instanbul si respirava uno stato quasi di polizia, dittatoriale. Ho cercato quindi di impostare il reportage su un discorso politico, su Erdogan. Qua siamo partiti con lo scopo di far conoscere appunto il Madagascar e tutte le attività umanitarie che si sono create in 50 anni e nei 20 anni con Padre Bonura. Lui è stato sicuramente un cicerone di tutto rispetto. Tramite questa mostra dovremmo fare anche un libro, un progetto ancora embrionale, sul Madagascar.
Linda Ferrara