C’era una volta un movimento che si riuniva nelle piazze italiane per urlare la propria rabbiosa indignazione contro la classe dirigente del tempo. Nel giro di poco tempo raccolse oltre 330.000 firme a sostegno di un’iniziativa legislativa popolare che avrebbe dovuto ripulire il Parlamento italiano dalla presenza di donne e uomini condannati per reati di vario genere. Era l’Italia del 2007, quella delusa dall’ennesimo fallimento del centrosinistra e che stava per affidarsi ancora una volta a Silvio Berlusconi, pronto – a sua volta – a indossare i panni di novello Caligola per trasformare il suo ultimo giro di valzer a Palazzo Chigi in una decadente orgia di potere.
Erano sinceri quei giovani che riempivano le piazze chiedendo quel che in qualsiasi altro Paese sarebbe stato ovvio: essere governati da persone oneste. Sembravano più informati e motivati della media della popolazione italiana, sembravano destinati ad essere i partigiani di una nuova resistenza legalitaria nel nome della lotta alla corruzione, alle mafie e alle ambiguità di una ragion di Stato che per decenni ha avvelenato l’Italia repubblicana.
Mai avrebbero potuto immaginare, quei ragazzi, che undici anni dopo si sarebbero trovati al governo con la Lega, principale alleato di quel Silvio Berlusconi che per loro costituiva “il male assoluto”. Men che meno avrebbero potuto immaginare che si sarebbero trovati a negare l’autorizzazione a procedere chiesta da un Tribunale della Repubblica nei confronti di un Ministro leghista, accusato di aver imposto il sequestro su una nave della Guardia Costiera Italiana (!) di 177 migranti, costringendoli a restare per dieci giorni in alto mare in condizioni sanitarie disumane, tra scabbia, tubercolosi, polmoniti e patologie varie. Una delle pagine più vergognose della nostra storia recente in tema di diritti umani.
Inevitabile dunque che la magistratura avviasse un’attività di indagine per verificare se i fatti costituissero reato. Inizialmente baldanzoso e pronto a rinunciare all’immunità parlamentare, Salvini ha via via cambiato linea (probabilmente consigliato da qualche legale). Di fronte alla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del capo del Viminale, ci si sarebbe aspettati che i 5 Stelle fossero coerenti con la loro storia, anche a costo di incrinare il rapporto con l’alleato di governo. Nel giro di due anni, però, la leadership di Luigi Di Maio ha trasformato il movimento in un soggetto politico decisamente lontano dallo spirito dei fondatori. Piuttosto che prendere in prima persona una responsabilità diretta, il vicepremier pentastellato si è affidato alla rete e, di conseguenza, alla decisione degli attivisti, cui è stato sottoposto un quesito decisamente ambiguo, che sembrava scritto dallo stesso Matteo Salvini. L’esito era scontato da giorni e, chiaramente, è andato incontro alle aspettative del gruppo dirigente dei 5 Stelle, con inevitabili lacerazioni all’interno del Movimento, che grazie a Di Maio e ai suoi sodali somiglia ogni giorno di più a quei partiti che fino all’altro ieri combatteva. Partiti a cui non era disposto a concedere e perdonare nulla, nella convinzione che non fosse più il tempo di votare il “meno peggio” e che bisognasse portare al potere una nuova classe dirigente, capace di aprire il Parlamento “come una scatola di tonno”.
Di quel Movimento resta ormai ben poco, confinato in qualche gruppo di irriducibili in Parlamento o nelle realtà di provincia che hanno scommesso sul cambiamento. Nel frattempo, però, il processo di assorbimento dei consensi da parte della Lega appare sempre più vicino alla soluzione finale e chi ha sinceramente creduto in un’Italia a 5 Stelle comincia a sentire la delusione dell’ennesimo tradimento politico. Sullo sfondo, una nuova notte della Repubblica, che si preannuncia più lunga che mai.