In tanti si chiedono se l’amore eterno esiste. Probabilmente sì. A confermarcelo una storia che arriva dalla fredda Russia. Nella primavera del 2017 un cittadino russo segnalò al marsalese Giovanni Di Girolamo e a Edoardo Chiappafreddo – esperti di ricerche sui Caduti italiani nella campagna russa – il ritrovamento di due anelli in una delle zone in cui le truppe italiane transitarono durante la tragica ritirata del dicembre del 1942. “Si trattava di una fede matrimoniale e di un anello personale che riportava due iniziali e una scritta: “Da Cecilia a Tanino, 22 luglio 1926”. Con questi dati iniziammo la ricerca”, afferma Di Girolamo. Per nulla facile l’impresa senza un cognome. Ma i due studiosi giunsero ad individuare un sottoufficiale o un ufficiale di una delle unità che parteciparono alla battaglia di Arbuzovka, probabilmente originario del Meridione d’Italia.
Arbuzovka è un piccolo villaggio agricolo dove furono assediate le truppe italo-tedesche che stavano ripiegando dalla linea del fiume Don dopo lo sfondamento dei carri armati russi. Degli oltre 30mila uomini del presidio, solo 12mila italiani e tedeschi riuscirono a lasciare Arbuzovka: furono circa 10mila i caduti. Lo studioso marsalese ha condotto le ricerche presso le banche dati del Ministero della Difesa, degli Archivi di Stato e delle Anagrafi Comunali: “Il lavoro è stato laborioso e difficile – afferma Di Girolamo -. Le poche note hanno consentito di individuare una lista di nomi e al termine delle verifiche si è riusciti ad appurare che il possessore degli anelli era il ten. col. Gaetano Sacco, comandante del II gruppo del 52° reggimento di artiglieria della Divisione Torino, ufficialmente disperso il 24/12/42 in corrispondenza dell’assedio di Arbuzovka, data che viene indicata per i soldati italiani lì deceduti o dispersi”.
Gaetano Sacco è nato a Buccino (SA), l’1/01/1894 e sposò Cecilia Mininni il 22/07/1926. Secondo la testimonianza dell’ufficiale superstite Giammattei, Sacco fu fatto prigioniero perché rimase indietro in prima linea insieme ad alcuni ufficiali del 52° rgt. trascorrendo la notte sulla neve. Gaetano Sacco coi suoi soldati era a comando di un’azione di retroguardia a protezione della colonna italo-tedesca che, rompendo l’accerchiamento delle forze russe, riuscì ad uscire da Arbuzovka per marciare verso Chertkovo. Ma alcuni reparti di formazione non riuscirono a raggiungere la colonna dopo i combattimenti. Tra questi anche il reparto della 52° Artiglieria agli ordini di Sacco. “Gli anelli sono stati ritrovati 11 anni fa in corrispondenza di un giardino dove giacevano molti soldati morti”, affermano i racconti.
In tutta questa storia, gioca un ruolo importante per i due studiosi italiani, Aleksander, studioso che ha collaborato con Onorcaduti e con il Governo russo, conferma che “Tanino” morì con i suoi soldati in posizione di combattimento; è dal loro sacrificio scaturì il salvataggio di migliaia di soldati italiani, in quanto rimasero nella valle per tenere impegnati i russi per tutta la notte, evitando che questi penetrassero e bloccassero il cammino della colonna. E’ stato il figlio di Aleksander, Ivan, a trovare la fede. “La guerra porta solo sventura e tanti russi e italiani sono morti per colpa dei loro governanti”, le parole eloquenti dello studioso russo. Grazie alla collaborazione con il presidente dell’A.N.Art.I. (gen. Rocco Viglietta) e del col. Giacinto Serio (presidente della sezione di Bari), è stata rintracciata la nipote di Gaetano Sacco, Cecilia: suo padre Giuseppe è morto poco tempo prima e non ha potuto conoscere il lieto fine di una storia che ha legato indissolubilmente i suoi genitori. La sposa Cecilia e il figlio Giuseppe hanno atteso invano notizie di Tanino per più di 75 anni. Gli anelli torneranno a casa, grazie agli studiosi italiani e a Iannicelli, presidente della sezione U.N.I.R.R. di ROMA, con una cerimonia ufficiale di consegna che si terrà a Bari il 4 dicembre al Santuario dei Caduti d’Oltremare.
ALCUNI APPUNTI SULLE VICISSITUDINI STORICHE DELLA VICENDA:
Di Girolamo ha ricostruito gli eventi di Arbuzovka: “La penetrazione delle truppe corazzate russe nelle linee italo-tedesche a partire dal 17 dicembre, chiuse le divisioni italiane in una sacca, obbligandole ad un tardivo ripiegamento in data 19 dicembre. La colonna del blocco nord che entrò nella conca di Arbuzovka verso le ore 20 del 21 dicembre comprendeva la Divisione Torino quasi al completo, la divisione Pasubio (meno il comando e alcuni elementi del 79° reggimento), resti delle Divisioni Ravenna e Celere, camicie nere della Legione “3 gennaio”, servizi dei C.A. II e XXXV. Avevano aperto la via i reparti tedeschi, mentre la Torino aveva fatto da retroguardia coi pochi cannoni rimasti. Dopo lunghe marce, battaglie cruente ed assalti disperati, sostenuti dalla 298^ brigata germanica e dai pochi carri del gruppo Hoffmann, riuscirono a rientrare entro le linee italo-tedesche solo il 17 gennaio 1943. Trovando la strada sbarrata verso ovest, dal 21 al 23 dicembre queste truppe furono sotto un terribile assedio. Migliaia di soldati si riversarono in un’area di 2×0.5-1 km2. Morti e feriti giacevano distesi accanto alle isbe, sulle piste e intorno alla valle, con temperature che la notte raggiungevano i 30-40° gradi sottozero. Migliaia di italiani rimasero all’addiaccio e molti morirono assiderati, nell’impossibilità di poter essere curati, per la mancanza di ricoveri e medicinali. La valle era dominata dalle alture circostanti occupate dai russi che colpivano ininterrottamente con mortai, katyushe e artiglieria. Furono costituiti reparti di formazione per dar manforte ai tedeschi al fine di alleggerire la pressione dei russi e di aprire un varco”.
Dalle note del generale Rossi si evince che “alle 21:30 del 23 dicembre i comandi tedeschi ordinarono di attaccare in direzione sud-ovest, mentre un altro reparto meccanizzato sarebbe dovuto rimanere fino all’ultimo a fronteggiare i russi, assegnando allo stesso una funzione di retroguardia. Le autovetture vennero abbandonate, dovendosi procedere nelle neve alta mezzo metro. I reparti di retroguardia rimasti nella parte sud furono bersagliati dai russi che riuscirono a richiudere l’accerchiamento. Bellini riporta che la retroguardia, costituita da reparti della divisione Torino, aveva respinto i rabbiosi attacchi dei russi riorganizzatisi dopo lo sfondamento, e aveva consentito al grosso della colonna italiana di evitare la cattura. Gli italiani che rimasero nella valle tennero i russi impegnati per tutta la notte, evitando che questi penetrassero e bloccassero il cammino della colonna. Al mattino del 24 dicembre gli italiani superstiti furono presi prigionieri e avviati alla marcia del davai. Nessuna traccia rimase delle migliaia di feriti e congelati”.
Emanuele Barba, nipote di Sacco, ha raccontato ad Edoardo Chiappafreddo: “io ero a Milano nel 1942 e con mio padre sono stato l’ultimo a vedere mio zio. Avevo 11 anni, ma ricordo benissimo mio zio Tanino affacciato al finestrino del vagone, che raccomandava a mio padre di prendersi cura di Cecilia”. La sposa Cecilia e il figlio Giuseppe hanno atteso invano notizie di Tanino per più di settantacinque anni.