Il giudice monocratico del Tribunale di Marsala Lorenzo Chiaramonte ha condannato a due anni e mezzo per lottizzazione abusiva l’imprenditore Michele Licata. Si tratta del processo che vedeva sul banco degli imputati lo storico “re” delle sale ricevimenti di Marsala per la vicenda riguardante la spiaggia di Torrazza. Di fatto la sentenza riconosce come Licata, attraverso la società Roof Garden, dopo aver avuto l’autorizzazione a ristrutturare gli edifici esistenti, avrebbe progettato una radicale trasformazione degli stessi per altri usi, non compatibili con l’area, che è soggetta a vincoli ambientali. A intercettare quanto stava accadendo fu una parte consistente della società civile di Petrosino, che diede vita nel 2011 al Comitato “La spiaggia di Torrazza è di tutti”, promotore di diverse iniziative per informare la comunità di quanto stava avvenendo, oltre che di petizione (che superò le 2300 firme, registrando anche le adesioni di Nichi Vendola, Dario e Jacopo Fo, Franca Rame, Riccardo Montolivo, Roy Paci, Claudio Fava, Giuliana Sgrena e Rita Borsellino.
Diversi gli elementi che hanno portato il giudice a riconoscere la fondatezza della fattispecie contestata: la realizzazione di piani intermedi in difformità rispetto al progetto iniziale, il ventilato allestimento di un campo da golf nella zona compresa tra i due opifici e il ritrovamento dentro il pc di uno dei progettisti di uno schema che prevedeva la realizzazione di camere di 12 mq con bagno di ognuna delle suddette strutture. Tutti fattori che hanno reso chiaro, agli occhi del giudice, l’intendimento da parte di Licata di partire dalla ristrutturazione degli opifici preesistenti per arrivare (con il tempo e la probabile compiacenza della burocrazia regionale) ad ottenere cospicui finanziamenti per realizzare un complesso alberghiero. Alla luce di ciò, è stata disposta la demolizione dei due opifici e la confisca di tutta l’area.
Licata è stato invece assolto dall’accusa di abusivismo per quanto riguarda la realizzazione in difformità di opere riguardanti il lido e la strada interpoderale limitrofa. L’accusa, rappresentata dalla pm Antonella Trainito, aveva chiesto una condanna a quattro anni. Chiaromonte ha inoltre disposto il risarcimento delle parti civili: 20.000 euro al Comune di Petrosino per danno non patrimoniale (da quantificarsi in sede civile quello relativo al danno materiale); 15.000 euro a Legambiente, 2000 euro a Codici.
Soddisfatti i legali del Comune di Petrosino, Valerio Vartolo e Giuliano Pisapia: “Esprimiamo grande soddisfazione per la sentenza del Tribunale Marsala che ha confermato in maniera netta il quadro accusatorio della Procura, come richiesto anche dalle parti civili. Esprimiamo inoltre la nostra soddisfazione perché il tribunale di Marsala ha riconosciuto anche il danno, non soltanto di immagine, sofferto dal Comune di Petrosino, risarcendo la stessa comunità petrosilena per la lottizzazione abusiva compiuta dal costruttore Michele Licata. Questo è un risultato che premia anche gli sforzi e le battaglie posti in essere in questi ultimi dall’amministrazione Comunale di Petrosino”. Molto soddisfatto anche il sindaco Gaspare Giacalone: “Abbiamo vinto una battaglia di riscatto e di legalità per il territorio e per la tutela dell’ambiente. Una battaglia che ci ha visto impegnati per anni anche contro muri di gomma”.
La sentenza è stata salutata con favore anche dall’avvocato Giovanni Gaudino, legale del circolo Marsala-Petrosino di Legambiente: “E’ stato riconosciuta l’attività dell’associazione contro gli abusi e le violazioni ai danni della zona di Torrazza. Il nostro obiettivo non era tanto la condanna penale, ma l’affermazione di un principio e il ripristino della legalità”.
Diverso, naturalmente, lo stato d’animo della difesa, argomentato dall’avvocato Carlo Ferracane: “I nostri consulenti, Giuseppe Gangemi, ordinario di urbanistica all’Università di Palermo, l’ingegnere naturalista Gianluigi Pirrera e l’ingegnere del Comune di Petrosino Vincenzo Tumbarello, hanno tutti escluso che esistessero propositi per la lottizzazione abusiva, evidenziando che i lavori dei due opifici erano stati realizzati in forza di concessione numero 23/2013 e di autorizzazione amministrativa, rilasciate dal predetto ingegnere Tumbarello. Al contempo, hanno confermato che tutti i preventivi nulla osta erano stati rilasciati dagli enti preposti ed hanno escluso il preesistente vincolo Ramsar, tenuto conto che c’era stata la dichiarazione di soggezione a vincolo, ma non la costituzione. Quanto riferito dai tecnici è stato avallato anche dall’avvocato Pensabene Lionti, che ha fatto parte di questo collegio difensivo. Vedremo su quali elementi il giudice si è diversamente orientato”. Verosimilmente, una volta lette le motivazione della sentenza, i legali di Licata decideranno se presentare o meno ricorso in Appello.
Si tratta della seconda condanna nel giro di un anno e mezzo per l’imprenditore del settore turistico-ricettivo, che nel dicembre del 2016 fu ritenuto colpevole dei reati di truffa, malversazione ed evasione fiscale, nel processo tenutosi con rito abbreviato davanti al gup Riccardo Alcamo. Michele Licata risulta inoltre imputato in un altro processo per reati tributari, che si sta celebrando davanti al Tribunale di Marsala.