Il potere, la follia e la drammaticità dei “tanti” Giorgio Magnato

redazione

Il potere, la follia e la drammaticità dei “tanti” Giorgio Magnato

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mercoledì 28 Marzo 2018 - 07:30

“Uno, nessuno, centomila”, direbbe il suo amato Luigi Pirandello. Perchè uno “stratosferico” Giorgio Magnato non si è risparmiato dinnanzi al pubblico del Baluardo Velasco sabato sera. Tanto da tremare, da aver bisogno di riposare le gambe quando impersonifica Ciampa. I “Celebri Monologhi” che aveva portato in giro in 50 tournée per il mondo, per la rassegna BaluArte erano tutti sul palco rappresentati da un solo grande attore, che per il “Berretto a Sonagli” si fa in tre, cucendosi addosso dialoghi e personaggi, tensioni e sbalzi d’umore. Ma Magnato non è un “pupo”, né un “puparo”, non si piega e ne paga ancora le conseguenze e spesso la sua arte, riconosciuta e premiata, non ha avuto in patria la meritata affermazione. “Questa è la peggior Amministrazione che Marsala abbia mai avuto, che non mi ha concesso di portare in scena i miei lavori. Cosa che invece facevo con la precedente, mentre con Eugenio Galfano nella mia Marsala ho tenuto anche dei corsi di teatro”, ribadisce prima di salire sul palco e commuoversi per i gloriosi tempi del teatro, della commedia. Accanto a lui, a sorreggerlo moralmente, una delle sue “creature”, Salvo Ciaramidaro.

Da Pirandello a Shakespeare, Magnato non fa pesare il “ponte” tra le diverse tonalità interpretative, mostrandosi ora “uomo d’onore” con Bruto, ora drammaticamente lirico con Marco Antonio, lo stesso portato in scena da Vittorio Gassman: “Ricordo i tempi in cui parlavamo di Shakespeare e Platone con Gassman e Randone” con la coralità degli attori Francesco Torre e Gaspare Lombardo, a segnare che il teatro ed il cinema devono proiettarsi al futuro, che i giovani devono studiare tanto per diventare bravi e trovare spazio… forse altrove, non qui. Poi Magnato continua nell’ambiguità del “tuttavia” con i dialoghi platonici snocciolati nell’Accusa a Socrate, nel folle Caligola di Camus, dove il regista fondatore di Lilybaeum si dibatte tra la coscienza individuale e i meccanismi di un potere che lo schiacciano come uomo e come artista, in una realtà priva di spinte culturali, di principi, dove quello che è veramente “assurdo” è non mettere al centro di un palco, un attore.

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