La testimone di giustizia è candidata nell’uninominale alla Camera dei Deputati
Tra gli elementi di novità di questa campagna elettorale c’è l’inserimento nelle liste del M5S di alcuni rappresentanti della società civile che nel tempo si sono resi protagonisti di “buone pratiche” in settori diversi. Tra loro c’è anche Piera Aiello, che nel 1991 decise di denunciare gli assassini del marito Nicola Atria e di cominciare a collaborare con la magistratura, assieme alla cognata Rita. Da allora, Piera Aiello vive da testimone di giustizia seguendo i vincoli del programma di protezione (che l’hanno costretta a vivere con un’altra identità e che non consentono, tra le altre cose, ai giornalisti di fotografarla o riprenderla in video). La sua vita potrebbe adesso ritrovarsi di fronte a un nuovo bivio: nei giorni scorsi ha infatti deciso di accettare la proposta di candidarsi con il Movimento 5 Stelle nel collegio uninominale Trapani – Marsala – Bagheria per la Camera dei Deputati.
Come nasce la sua candidatura?
Mi è stato chiesto se volevo fare parte di questo movimento. Da lì ho iniziato a valutare questa possibilità e da subito l’ho presa al volo, perchè già negli anni sono andata in giro per le scuole a parlare con i ragazzi di legalità, verità, giustizia. Mi è sembrato un buon motivo per poter andare oltre e poter parlare a tutta l’Italia. In più, la cosa che mi ha fatto sognare, è stata la possibilità di tornare ad essere Piera Aiello. Io ho subito il cambio delle generalità e non le ho mai accettate, per me erano soltanto una protezione. Dopo 26 anni ritengo opportuno tornare ad essere Piera Aiello appieno. Questo movimento mi ha dato questa possibilità ed è in linea con le mie idee: l’idea di stare vicina alla gente, di sentirne i disagi. Non è un partito, ma un insieme di persone che stanno insieme ad altre persone che hanno bisogno.
Lei fece questa scelta che le cambiò la vita nel 1991, dopo aver conosciuto Paolo Borsellino, allora a capo della Procura di Marsala. Che ricordo ha di Paolo Borsellino?
Paolo Borsellino per me è come se fosse vivo. Seguo ancora le sue parole. Quando cominciai il mio percorso di testimonianza non sapevo neanche parlare bene l’italiano. Guardando alcune donne sostituti procuratori che lo affiancavano, che conoscevano le leggi e parlavano bene, mi chiedevo: “ma se abbiamo la stessa età, perchè io non devo essere come loro?”. Allora ho chiesto allo “zio Paolo”, perchè è così che lo chiamavo, cosa potevo fare per migliorarmi. E lui mi ha risposto: “Leggi, leggi sempre. Dopo di che, se puoi, vai a scuola”. L’ho fatto e ho conseguito due diplomi. In più ho preso quello che c’era scritto sul diario di Rita Atria, mia cognata: “Andate tra i giovani e dite loro che c’è un mondo pieno di cose belle e cose vere”. Ho fatto mia quella frase, ho fatto mie le idee di zio Paolo e da 26 anni porto avanti le mie idee con le mie gambe e la mia forza. Adesso penso che devono continuare in larga scala, per fare sapere a tutti gli italiani che la mafia è uno schifo e che non bisogna mai scendere a compromessi, proprio per quel fresco profumo di libertà di cui parlava Paolo Borsellino.
Una legge che vorrebbe intestarsi nel caso fosse eletta?
Non ambisco a questo. Ambisco soltanto a far star bene le persone, i testimoni di giustizia, a invogliare la testimonianza. Testimoniare è un salto nel buio, invece il cittadino deve sapere che è un dovere fare queste cose. Non deve più essere un salto nel buio, devono esserci persone vicine a noi, persone competenti. Molte volte ci sono persone che ci gestiscono che non hanno idea di cosa sia un testimone e sono spesso disattente. Dobbiamo invogliare tutti i siciliani e gli italiani a dire “basta” ai compromessi e ad essere etichettati come un Paese in cui sono tutti mafiosi. Noi siamo gente onesta, in Italia ci sono più onesti che disonesti. Allora, alziamo la testa e non teniamola più sotto la sabbia.
Come vede la Sicilia rispetto a quando è cominciata la sua nuova vita?
Sono cambiate tantissime cose. Prima c’era disinformazione assoluta, non si parlava proprio di mafia. Io e Rita siamo state etichettate come “cunsumafamigghie”, perchè avevamo rovinato le famiglie, avendo denunciato. Non pensavano che loro avevano ucciso tanti padri di famiglia. Adesso i ragazzi non hanno più gli occhi chiusi come prima. L’informazione è importante, studiare è importante. Dobbiamo stare vicini a questi ragazzi, prenderli per mano e portarli verso un futuro fatto di semplicità. La Sicilia è un territorio fantastico, martoriato in tutti i sensi e in tutti i settori. Da siciliana dico che è arrivato il momento di dire “basta”.