Sono trascorsi 50 anni dal terremoto del Belice. Quel gennaio del 1968 cambiò la vita per molte persone, famiglie, per interi comuni che vennero cancellati dalla cartina geografica. Sotto le macerie di quelle case povere rimasero vittime centinaia di persone. In migliaia andarono via, cercarono di ricostruire altrove un senso della loro esistenza. Tra queste la mia famiglia, che sotto quelle macerie lasciò ogni brandello di esistenza passata. Guardare indietro nel tempo, fare un uso saggio della memoria significa capire cosa quella esperienza ha lasciato alle nostre spalle e cosa ci consegna per il futuro. La memoria può essere una bestia infame, può essere accomodante, evasiva, giustificatrice. Penso che noi abbiamo il dovere di coltivare una memoria ribelle, capace di leggere contraddizioni, potenzialità, conflitti. Quel terremoto attivò, a volte a sua stessa insaputa (scriveremmo oggi), risorse e idee fin lì sconosciute.
Pochi ad esempio sanno che quel TG che diede l’annuncio dalla rete televisiva del sisma rappresenta il primo caso di un notiziario costruito da giornalisti poiché, fino ad allora, le notizie venivano lette da annunciatrici. Quasi nessuno sa che da quel terremoto è venuta la riflessione che portò alla prima legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio poiché tanti giovani contadini si rifiutarono di prestare il servizio militare venendo accusati di renitenza alla leva e da quell’atto di ribellione si aprì un dibattito nazionale che portò pochi anni dopo alla legge che ne riconosceva il diritto. Molti hanno lamentato l’idea di una Sicilia piagnona e sprecona. E’ indubitabile che tanti sprechi ci siano stati e sacche di malaffare si siano catapultate per speculare su quella disgrazia. Tutto questo non ci deve far dimenticare che per la legislazione di allora fosse direttamente lo Stato e il governo a gestire la fase della ricostruzione e il fallimento di questa metodologia aprì, fortunatamente, la strada ad una legislazione che desse autonomia e poteri ai comuni.
Quest’ultima intuizione determinò un notevole salto di qualità negli interventi sui terremoti che seguirono il Belice. Stessa identica osservazione può farsi sul servizio di Protezione Civile, strumento per il quale si avvertì drammaticamente tutta l’utilità e l’urgenza. Rileggendo la storia di quei territori ci si imbatte in pagine incredibili: si pensi alla prima radio libera voluta da Danilo Dolci, al ruolo attivo di una parte della Chiesa, al ruolo importante che giocò il PCI, all’esperienza del centro di Documentazione di Lorenzo Barbera, alla ricostruzione di una città dal nulla come Gibellina, solo per citare alcuni esempi. Come spesso accade rileggendo le pagine siciliane, è un mix di pagine amare e dolci, una mescolanza di colori forti, di impegno e malaffare, di grande umanità e di ignavia. Oggi il Belice sta ricostruendo economia, identità, socialità. Penso che l’urgenza sia dettata dalla necessità di costruire un futuro in questo senso. Comprendere le tante potenzialità presenti e avere la capacità di accompagnarle in campo economico, culturale, sociale. Questa è la nuova sfida. E nessuno si senta escluso.
Ottavio Navarra