Nel tempo webness del mercato personalizzato, un Soviet “1917” di poeti e artisti?

redazione

Nel tempo webness del mercato personalizzato, un Soviet “1917” di poeti e artisti?

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venerdì 22 Dicembre 2017 - 17:43

Non si tratta di conservare il passato,
ma di realizzare le sue speranze.

M. Horkheimer, T.W. Adorno
(Dialettica dell’Illuminismo)

Il richiamo del comunismo […] significa tutta una serie
di cose. […] è inoltre una necessità, abbiamo scacciato
il comunismo ma la situazione è gravissima non resta
che richiamarlo in servizio e rifarlo in tutt’altro modo.
potrebbe […] intendersi come “reclamo” […] da portare
al comunismo realizzato che ha usurpato l’idea […], ma anche
“reclamare” la restituzione per nuovi adempimenti possibili.

Francesco Muzzioli
(Il richiamo del comunismo- Poesie)

di Antonino Contiliano

Ri-tornare ai Soviet del 1917, e ri-cominciare dal quel campo elettromagnetico che fu la rivoluzione comunista per ri-attualizzarne le virtualità inespresse, non è certo la volontà di negare l’irreversibilità del tempo, o l’entropia termodinamica della seconda legge di Clausius (1865); neanche è la volontà di velocizzare ulteriormente l’accelerazione temporale oltre i limiti fissati dalla teoria relatività di Einstein (sebbene nei termini della fisica quantistica si parli dei tachioni, particelle cioè la cui velocità è superiore a quella della luce, cosa che permetterebbe, teoricamente, di ritornare al passato e cambiare gli sviluppi evoluti degli eventi!).

Piuttosto è la possibilità, fra le variabili di quel campo – come succede in quello delle radiazioni atomiche – di prendere le potenzialità ondo-corpuscolari socio-politiche esplose e non realizzate (per ovvie ragioni è necessario che l’astrazione circoscriva le possibilità per determinarle come traiettorie e punti definiti osservabili) per liberare energie di soggettivazione collettiva antagonista. L’antagonismo culturale e politico che metta in campo azioni di conflitto e fuga contro la temporalità webness time. Il tempo cioè veloce della connettività informatica di rete che, sotto tutela della pseudo formula del “meno stato”, lavora a sostegno e rinforzo del tempo del mercato capitalistico privato del neoliberismo; il tempo che sostiene la trasformazione dei processi di soggettivazione individualizzati come controllo e dominio delle collettività ridotte a sciami di individualismio, convincendoli che il “controllo” è una forma di autoformazione responsabile e libera in libero mercato fra concorrenti agenti individualisticamente, cui lo Stato deve assicurare solo regole garanti l’esercizio per tutti e ognuno.

Non a caso (e qui è opportuno ricordare, anche se per breve inciso) il programma politico e sociale della “deregulation” (smantellamento del welfare state fordista) di Margaret Thatcher si inaugurò con la convinzione e diffusione massiva di un programma governativo educativo-culturale che presupponesse gli “individui” come obiettivi principali e primi. Il presupposto indispensabile per trasformare e indirizzarne ad hoc (libertà totalizzante del mercato liberistico) le condotte, i desideri, i bisogni, le aspirazioni, i sogni di benessere e felicità personalizzati. In un discorso del 1987, il suo enunciato pedagogico statale, infatti, fu quello inaugurale dell’inizio del nuovo ordine sociale:

Come sapete, la società non esiste. Esistono solo gli individui, gli uomini e le donne, ed esistono le famiglie. E il governo non può fare niente se non attraverso le persone, e le persone devono guardare prima a se stesse. […] L’economia è il mezzo, l’obiettivo è quello di cambiare il cuore e l’anima1.

Il tempo dei Soviet vs Webness time capitalistico

Il punto, ora, secondo chi scrive, è di ri-mettere allora in moto culturalmente e politicamente le possibilità di eguaglianza e libertà di una società comunista che la Rivoluzione dei Soviet del 1917 e i poeti del “Futurismo russo” dello stesso 1917 avevano messo in campo ma che, sebbene espresse, rimasero irrealizzate. Costruire un nuovo campo materiale socio-politico e culturale per menti e corpi capaci di ri-prendersi il tempo di vita individuale e collettivo, espropriatogli dalla terza rivoluzione industriale capitalista post-fordista, è possibile. Non solo lo dimostra il thatcherismo, ma tutta la storia delle rivoluzioni scientifiche e culturali-politiche della modernità fino ad oggi.

Nel tempo in cui il capitalistico bio-semiotico elettro-informatizzato ha trasformato nel “tempo reale” e nello spazio virtuale lo spazio-tempo come “campo” smaterializzato di dati, segni e informazioni quantificabili e monetizzabili, a questa fabbrica non sono sfuggiti neanche gli stessi cybercittadini. Il tempo di vita dei navigatori con il suo bagaglio di informazioni nel mondo web passa infatti come webness time (il tempo della connettività dei cervelli elettronificati), o temporalità decodificata e lasciata nel cyberspazio (lo spazio virtuale della rete come luogo privilegiato dei flussi informativi capitalizzati) per essere lavorata come materiale mercificabile. L’interfaccia ico-elettronica, a sua volta, come infrastruttura mediale è quella che consente il convergere delle frequenze digito-elettroniche simmetricamente e velocemente ri-codificandole a uso e consumo delle macchine telematiche del capitale.

E ciò, fra crisi ravvicinate, macchine più sofisticate e veloci e nuovi circuiti globali, per ricavarne plus-valore, profitti, rendite e rendimenti privati in un continuum costantemente aggiornato. Un complesso cioè organizzativo e di valorizzazione tutt’altro che predisposto alla sovrana partecipazione delle moltitudini di individui e minoranze, o sottoposto al controllo comune di una democrazia del popolo della “Comune”, la democrazia cioè degli eguali e liberi, “io” plurali e ’“io noi” collettivi, che invece è possibile in una società comunista (evento già sperimentato, avviato e poi interrotto).

Le virtualità della poesia e dell’arte

La volontà e la possibilità, a fronte di questo stato di cose, è quella di volere/poter opporre, allora, secondo chi scrive (azzardo di un’ipotesi razionale e non meno utopica), le azioni della poesia e dell’arte come testi di un evento temporalizzato tutt’altro che semplificabile in formule astratte e automatismi del caso. Qui il tempo-spazio, diversamente dal tempo capitalistico e capitalizzato, è una vera barricata rivoluzionario-antagonista, in quanto proposizione di un mondo alternativo di soggettività singolari e collettive irriducibili ai parametri degli algoritmi a-priori e concatenati deterministicamente dal tempo webness capitalizzato, o in sintonia con i processi di valorizzazione finanziario-speculativi del kapitale.

Il tempo e lo spazio della poesia e dell’arte (nonostante artisti e poeti pratichino le nuove tecnologie informatiche per le loro produzioni testuali) sono però delle “macchine da guerra” (Gilles Deleuze) che non rispondo al continuum automatico dei ritmi degli istanti frazionati e temporalizzati sulle onde accelerate delle catene webness time commercializzate. Qui, infatti, il tempo di vita in rete dei naviganti web – “life line” – con il treno delle sue informazioni psico-corporee, ideali e culturali … è catturato e trasformato in algoritmi digitali automatici al servizio del capitalismo e del nuovo mercato “immateriale” dei desideri, dei sogni, delle condotte e attese del persone.

Già l’Odisseo di Omero – scrive il poeta Titos Patrikios (Ellenika V2), demistificando uno dei paradossi del filosofo Zenone (la sfida che vede Achille e la tartaruga impegnati in una gara di velocità) – aveva capito che il tempo degli uomini non può corrispondere ai frazionamenti logicistici:

Odisseo conosceva il sofisma

ben prima di Zenone,

sapeva che non si può ridurre in frazioni il tempo,

che Achille vince la tartaruga nella corsa.

[…].

Odisseo apprese anche con la guerra

che il corso del tempo non s’inverte,

[…]

Finché lo ammise pubblicamente:

il tempo può far accumulare denaro,

spalancare avventure, ridurre l’ignoto,

ma nulla di tutto ciò riporta indietro

il tempo trascorso che ha generato quelle cose.

[…]

Nonostante i tonificanti, le erbe di lunga vita,

sempre più a fatica riusciva a escogitare

nuovi rimedi per poter soddisfare

i suoi desideri insaziabili.

Il tempo-spazio della poesia e dell’arte è così esponenziale e dinamicamente evolutivo come se fosse una configurazione dislessica, in quanto simultaneità di schemi, immagini, concetti e associazioni contingenti in istanti quali unità discrete eterogenee, che si sovrappongono vertiginosamente in maniera non lineare o discontinua, sì che incapsularli nella corrispondenza biunivoca delle onde elettriche psico-corporee e mentali dei soggetti con quelle delle macchine digitalizzanti è impossibile.

Il tempo del poeta è così una “macchia cognitiva” e una pratica di significazione come una “macchina da guerra” che fa implodere il tempo codificato e misurato in bit di luce agglutinati nei nodi (punti) spazio-virtuale e controllati dai capitalisti della comunicazione.

La soggettività oggettiva dei poeti-artisti-navigatori nei flussi del cyberspazio ha così una presenza incorporata che può senza dubbio reagire in maniera interattiva-sconvolgente gli assetti di potere che viaggiano con i flussi informativo-comunicativi dell’infosfera neoliberista del capitalismo elettronificato. Scombina, come ampiamente verificato con alcuni esperimenti artistici interattivi evolutivi, l’ordine degli istanti concreti, discreti e molteplici, ma congelati da chi il software governa con regole rigide, e ciò perché in attesa di condotte reattive di consenso e adesioni uniformi, acritiche. I soggetti che nell’immersione invece partecipano endogenamente come creatori autonomi di percorsi di andata e ritorno “sgrammaticati” o di distorsione, di rottura e diversità rompono con questo tipo di performance governata esternamente e creando dei vuoti tra un istante e l’altro della comunicazione. Vuoti che servono sia a sottrarsi al comando, sia a creare fughe e resistenze antagoniste, offrendo letture e azioni di retroazioni multiple contro le soggettivazioni che altri vogliono e praticano come assoggettamento e servitù ai mercati del capitale informatizzato.

Nello smantellamento del paradigma capitalistico, fondato sulla semiotizzazione digitale della produzione e sul controllo delle soggettività socio-individuali e i loro stili di vita, trovano così un loro ruolo anche artisti e poeti, introducendo – come analizza Maurice Benayoun (On line, life line, slittamenti dell’arte) – delle resistenze o rugosità nella fluidità immateriale del cyberspazio bioeconomico, ovvero la variabilità creativo-costruttiva irripetibile che è la presenza attiva del soggetto operatore (virtuale operaio creativo indipendente) all’interno di un’installazione artistica interattiva, permessa dall’utilizzo antagonista delle tecnologie elettroniche. È il ri-sveglio del conflitto che si mette di traverso sulle rotaie della continuità lineare, programmata a priori, della produzione neocapitalistica immateriale.

Compito degli artisti è quello allora di intercettare il continuum e le linearità temporali del mondo “life line” sbarrandolo con la triplice azione che Maurice Benayoun riassume nella capacità reale dell’artista di creare come degli “interruttori” deleuziani, distanziando e opponendo resistenza alla comunicazione del controllo immediata delle società che, faucoultiamente, non sono più disciplinari ma del controllo che agisce in profondità come micropoteri che governano l’anima delle persone; cosa che necessita smantellare sconfigurando gli ambienti mimetici adusi (miscelando segni semantici e a-semantici) alla formattazione e colonizzazione dei corpi e delle menti degli individui. Creare cioè “buchi neri” come un vuoto negativo allora diventa una priorità dei poeti e degli artisti che si riconoscono come potenza che attualizza «rugosità là dove tutto è troppo liscio, trasparenza là dove domina l’opacità e distorsione là dove le linee sono troppo dritte, le regole scritte e le frontiere troppo rigide»3. Come dire che per «essere potente la resistenza linguistica deve fare implodere il regno dei segni, degli equivalenti e delle identità»4 e gli stessi processi di identificazione che sfruttano il principio di somiglianza. Un principio che occorre tenere a bada dal momento in cui, fra metafore e analogie, permette al capitalismo semiotico di farne largo uso, onde costruire egemonia culturale e dominio politico dittatoriale con un dis-correre/discorso lineare e liscio, lì dove invece (direbbe Gastone Bachelard) necessita il tempo verticale della poesia. Il tempo della totalità d’essere cioè come istanti e ritmi di istanti euritmici attenti ai desideri, come ai bisogni ed a una razionalità della rêverie che deborda i cardini del calcolo e della misura del tempo capitalistico lineare e continuum, che, della contabilità delle perdite, dei guadagni e dei rischi fa il perno dell’essenza del tempo.

Questi interruttori, gli istanti eterogenei, e tuttavia euritmici, sono propri infatti all’azione poetica e artistica, perché il mondo dei flussi della “life line” può essere modificato dalla stessa presenza immersiva dei soggetti che vi immettono informazioni diverse e altre, mescolando così nella comunicazione poetica le diverse declinazioni del tempo come azione che si esprime nei verbi, negli avverbi, nelle locuzioni temporali se non con la stessa molteplicità dei tempi che attraverso un individuo come la stessa storia materiale che li abita. Sono cioè le dinamiche evolutivo-esponenziali della significanza che, autonomizzando la successione dei movimenti, degli eventi e delle forme, modificano quella stessa prospettiva temporale che le “rigide” regole, determinate a monte da una virtualità controllata dall’alto, stagnano su un adesso immediato e senza futuro.

In questa maniera, il mondo del Soviet degli artisti e poeti si pone come un operatore sociale che svela agli altri i trucchi del potere e, prendendo distanza e forza critica di pensiero e azioni ribelli, li spinge a modificare le prospettive di tempo e di vita singolare e collettiva. Infatti, continua Maurice Benayoun, l’artista «del XXI secolo sarà forse colui che definisce non solo la propria pratica, ma anche le regole di mutazione che governeranno le pratiche degli altri, o almeno questo crederà»5.

Dopotutto, se la dichiarazione pubblica di un personaggio del Fmi (Fondo monetario internazionale) immette sul mercato comunicativo enunciati ed espressioni allarmistici di crisi, di fallimenti bancari, o di crollo dei titoli borsistici, o di insolvenze delle economie nazionali o altro che ostacolino la ripresa capitalistica di potere e denari, producendo paure e reazioni di panico fra il pubblico dei consumatori o degli azionisti delle varie imprese, perché non pensare che un’espressione artistica e poetica possa egualmente influenzare e modificare le reazioni e i comportamenti dei consumatori-lettori o spettatori, specie se alla comprensione arrivano quali attori che interpretano e leggono fra le righe con intelligenza demistificante?

Del resto se il materialismo storico dello stesso Karl Marx riconosce che la realtà viene prima letta dal pensiero nella rappresentazione simbolica della lingua sociale per farsi subito dopo azione concreta di individui e soggetti atti a modificare cose e rapporti fra soggetti collettivi e individualità (il rapporto fra la stessa singolarità dell’ “io” e del “tu” è già un’intersoggettività e una relazione sociale che produce cambiamenti), perché dovrebbe diventare allora impensabile o chimerico attribuire questi effetti al linguaggio degli artisti e dei poeti che vivono nei contesti storici che mutano e variano?

Ma se leggiamo e diamo ascolto alle teorie dei linguisti, non diversamente dal materialismo marxiano, questi riconoscono la funzione “fondante” della lingua (non esclusa il linguaggio dei poeti) nella determinazione dei rapporti di reciprocità fra individui e società immersi in un ambiente comunque simbolico e soggetto a mutazioni.

Nel caso di questo nostro discorrere, non dimenticando la figura fondamentale di Ferdinand de Saussure (il caposcuola), o quella di studiosi italiani dell’altezza di Tullio De Mauro, però ci piace agganciarci al pensiero del francese Émile Benveniste. L’uomo, scrive lo studioso francese, «ha sempre avvertito – e i poeti l’hanno spesso cantato – il potere fondatore del linguaggio, che instaura una realtà immaginaria, anima le cose inerte, fa vedere ciò che ancora non esiste, riconduce qui ciò che è scomparso».6

E se così stanno le cose, cosa può impedire la nascita di un Soviet degli artisti e dei poeti?

1 Mauro Bertani, Individui molecolari e trasformazioni delle soggettività, in “Aut Aut”, Dicembre 2017, n. 376, p. 110.

2 Cfr. http://www.senecio.it/riv/53.html, Titos Patrikios, I trucchi di Odisseo (a Dimistris Maronitis)

3 Maurice Benayoun, On line, life line, slittamenti dell’arte, in La conquista del tempo – Società e democrazia nell’era della rete ( a cura di Derrick de Kerckhove, Editori Riunit, Roma, 2003, p. 122.

4 Christian Marazzi, Il sapere della moltitudine è indifferente alle crisi, in Introduzione, in Il comunismo del capitale- Fianziarizzazione, biopolitiche del lavoro e crisi globale, ombre corte | UniNOmade, Verona, 2010, p. 200.

5 Ivi, p. 128.

6 Émile Benveniste, Uno sguardo allo sviluppo della linguistica, in Problemi di linguistica generale, il Saggiatore, Milano, 2010, p. 35.

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