Processo Perricone: depositati nuovi documenti dal pubblico ministero

redazione

Processo Perricone: depositati nuovi documenti dal pubblico ministero

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sabato 28 Ottobre 2017 - 16:35

È stato annunciato ieri dal PM, Rossana Penna, nel corso dell’udienza del processo a carico dell’ex vicesindaco di Alcamo, Pasquale Perricone, il deposito del decreto di sequestro preventivo di documenti, adottato dal Giudice delle Indagini Preliminari nell’ambito di un altro procedimento parallelo che riguarderebbe l’E.S.P.E.T. (Ente Scuola Professionale Edile Trapanese), e nel quale risulterebbero coinvolti lo storico esponente del PSI alcamese e la sodale Marianna Cottone.

Si è tenuta nella mattinata di ieri l’udienza del processo che si sta svolgendo presso il tribunale di Trapani in composizione collegiale, con presidente il giudice Piero Grillo, coadiuvato dai magistrati Roberta Nodari e Chiara Badalucco, nel quale sono imputati Pasquale Perricone, la cugina Maria Lucia Perricone, detta Mary, Emanuele Asta, funzionario del centro per l’impiego di Alcamo, Marianna Cottone, sodale e compagna dell’ex vicesindaco, e Mario Giardina, prestanome dell’esponente storico del PSI alcamese. Tra i diversi reati a carico dei soggetti citati vi sono la bancarotta fraudolenta, l’associazione a delinquere, la corruzione, la truffa ai danni dello Stato e la turbativa d’asta. L’inchiesta denominata “Affari sporchi” è stata portata avanti dai pubblici ministeri Rossana Penna e Marco Verzera. Durante il controesame della difesa, avvenuto ieri nell’aula intitolata al magistrato Giangiacomo Ciaccio Montalto, è stato sentito il teste Giacomo Sorrentino, luogotenente della guardia di finanza, il quale si è occupato delle indagini relative alla formazione professionale e, in particolare, delle trascrizioni delle intercettazioni ambientali effettuate in via Goldoni n° 6 ad Alcamo, nei locali dell’ex CEA, poi, divenuta sede della Promosud s.r.l., e, dunque, di due società che sarebbero riconducibili all’ex vicesindaco. Le indagini delle fiamme gialle si sono concentrate sui corsi di apprendistato professionale organizzati dalla Promosud, per l’appunto, il cui rappresentante legale è Marianna Cottone. Insieme ad un’altra cooperativa, la Dafne s.r.l, definivano i progetti che sarebbero stati finanziati dal Fondo Sociale Europeo, mediante la partecipazione delle stesse società ai bandi emessi dalla Regione Sicilia. Nello specifico, durante l’interrogatorio, si è fatto cenno al corso di “Operatore di produzione pasticceria”, descritto nell’inchiesta come un “corso fantasma”, in quanto si sarebbe realizzato solo sulla carta, e al corso “Il lavoro di fabbro in ferro”, per i quali è stata formulata come ipotesi di reato la truffa aggravata. Detti corsi si sarebbero dovuti svolgere, principalmente, nelle sedi di San Giuseppe Jato e Partinico, e avrebbero dovuto essere sottoposti al controllo del funzionario del centro per l’impiego di Alcamo, Emanuele Asta, imputato nel processo per corruzione. Il vice direttore del centro, in cambio di promesse di lavoro per la moglie, Antonella Ruisi, e la nipote, Lea Accardo, come docenti nei corsi organizzati dai sodali di Perricone, avrebbe omesso di svolgere i controlli ispettivi, per l’appunto. In relazione al settore della formazione professionale, nell’udienza di ieri, è stato annunciato dal pubblico ministero, Rossana Penna, il deposito del decreto di sequestro preventivo di documenti, adottato dal GIP (giudice delle indagini preliminari) nell’ambito di un altro procedimento parallelo, che riguarderebbe l’E.S.P.E.T. (Ente Scuola Professionale Edile Trapanese), e nel quale risulterebbero coinvolti lo storico esponente socialista alcamese, Pasquale Perricone, e la sua sodale Marianna Cottone. Quello della formazione professionale è uno dei rami sorti dalle indagini della guardia di finanza di Alcamo e del Nucleo Operativo delle fiamme gialle di Trapani, a seguito dell’“Operazione Nettuno”, relativamente ai lavori del porto di Castellammare del Golfo, il cui protagonista principale sarebbe Pasquale Perricone, per l’appunto.

L’operazione Nettuno: il fallimento della società.

Ci si siamo già occupati in precedenza dei fatti che avrebbero condotto al fallimento della società Nettuno a.r.l., occultamente gestita da Pasquale Perricone, attraverso il suo prestanome Rosario Agnello, e i sodali nel cantiere del porto di Castellammare del Golfo: Domenico Parisi, rappresentante appaltatore per la firma dei contratti; Mario Giardina; direttore del cantiere; e Mary Perricone, cugina dell’ex vicesindaco, considerata la persona che si occupava dei pagamenti dei fornitori verso cui la Nettuno avrebbe dovuto saldare la metà dei debiti. Secondo alcune testimonianze, il mancato rispetto di tali pagamenti, avrebbe causato addirittura la rovina economica di alcune imprese che erano coinvolte nei citati lavori. La Nettuno, che si occupava dell’acquisto di materie prime e dell’impiego di manodopera, avrebbe dovuto incassare circa 13 milioni di euro dalla stazione appaltante (il comune di Castellammare del Golfo) fino al 13° Sal (Stato avanzamento lavori), a fronte delle spese sostenute per circa 11 milioni di euro, registrando, dunque, una eccedenza di quasi due milioni di euro. Il tutto mediante il sistema di ribaltamento dei costi dell’ATI capeggiata dalla COVECO. Come già spiegato in un precedente articolo, ciò non sarebbe avvenuto. Inoltre, la mancata fatturazione della società Nettuno tra il 2009 e il 2010 sarebbe stata considerata il preludio del suo fallimento. Dal sequestro della guardia di finanza della documentazione nell’ambito di un separato procedimento per pubbliche forniture, si è giunti all’Operazione Nettuno (2010) e, quindi, si è ricostruito tutto il percorso che ha condotto alla fondazione della sopracitata società, creata dall’ATI per essere l’unico centro di imputazione di costi. Una delle anomalie nella costituzione della Nettuno è rappresentato dal conflitto di interessi dei membri del suo consiglio di amministrazione, ossia tutti soggetti interni alle società consorziate dell’ATI guidata dalla COVECO: COGEM, COMESI e CEA. Un’altra è fondata sul fatto che la COVECO si fosse associata alla CEA per partecipare al bando di gara (2004) delle opere del porto di Castellammare del Golfo su suggerimento di Perricone, nonostante tale società si trovasse in difficoltà economiche. A dare lucidazioni su tali rapporti è stato il presidente della COVECO Franco Morbiolo, il quale ha raccontato agli inquirenti dell’incontro con la CEA, tenutosi nel 1997, all’epoca associata al Consorzio Ravennate, quando presidente della società era proprio Pasquale Perricone. Sarebbe stato, secondo la narrazione dei fatti, Domenico Parisi, ex consigliere comunale, a portare avanti i rapporti con il consorzio veneto e, poi, l’avvenuta associazione nel 2004, con la quale si è demandato alla CEA l’esecuzione dell’appalto del porto di Castellammare. Ma solamente dopo il sequestro del cantiere, nel 2010, il direttore tecnico Mauro Gnech della COVEVO, si sarebbe reso conto della situazione critica della stessa, estromettendola nel 2013, e alla quale è successivamente subentrata la società Atlantis. In questo lasso di tempo, la società veneta si confrontava con il presidente della Nettuno a.r.l., Rosario Agnello, e la cugina di Perricone, Mary, per l’appunto, la quale avrebbe seguito la parte amministrativa della CEA. Entrambi, sempre secondo quanto riferito da Morbiolo, sarebbero andati a Venezia a rappresentargli i problemi economici nel frattempo sorti. Mentre, nel suo viaggio in Sicilia Franco Morbiolo ha incontrato nuovamente Pasquale Perricone, il quale gli avrebbe chiesto di anticipare le somme per risolvere le difficoltà economiche della CEA (dalla quale COVECO vantava crediti sin dal 2006). Tra COVECO e CEA, infatti, si era instaurato un contenzioso extragiudiziale, nel quale sarebbe intervenuta la cugina dell’ex vicesindaco, Mary Perricone, tramite una società terza: la Magara s.r.l., ufficialmente da lei gestita, ma di fatto amministrata da Vancini Massimo, raggiunto nel 2016 dal provvedimento cautelativo per concorso esterno del delitto associativo. Le indagini, invece, effettuate, anche mediante supporto delle consulenze tecniche contabili, hanno messo in evidenza che le somme riversate e fuoriuscite in contanti dai conti correnti della CEA (tramite i SAL che a COVECO venivano corrisposti dalla stazione appaltante), e in special modo quelli attivati presso la Banca Don Rizzo, che dovevano a sua volta essere destinati ad affluire nelle casse della Nettuno, sono stati dispersi dagli amministratori della CEA( che coincidevano con quelli della Nettuno) contribuendo dunque al fallimento della società. In particolare, erano legittimati ad operare presso tali conti correnti: Rosario Agnello e Domenico Parisi. Sinteticamente, pur avendo una importante disponibilità di cassa, la CEA (poi finita in liquidazione coatta) avrebbe effettuato pagamenti in contanti a favore di terzi per sfuggire alla tracciabilità dei flussi finanziari.

Linda Ferrara

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