Il «Centro Studi Dino Grammatico» diventa «Istituto per la cultura della legalità»

redazione

Il «Centro Studi Dino Grammatico» diventa «Istituto per la cultura della legalità»

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giovedì 20 Aprile 2017 - 14:49

Il «Centro Studi Dino Grammatico» ha integrato la sua denominazione con quella di «Istituto per la cultura della legalità». Alla base di questa novità, la presa d’atto che le attività portate avanti negli ultimi anni, in piena sintonia con le istituzioni preposte, hanno evidenziato una considerevole propensione ai temi di contrasto alla criminalità mafiosa. Numerosi, a tal riguardo, sono stati gli incontri, i convegni e le pubblicazioni incentrate sul valore dell’impegno antimafia nella società contemporanea. In ragione di ciò, il Centro ha delineato una pianificazione di attività, in particolare nelle scuole, per sensibilizzare fin dalla più giovane età i siciliani di domani alla difesa della propria Terra dinanzi all’incessante pericolo determinato dalla presenza di «cosa nostra». Tutto ciò nel solco di quanto praticato, durante la sua lunga attività politica e culturale, dallo stesso Grammatico, sia da uomo delle istituzioni che nelle vesti di Presidente dell’Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici. A riguardo, nella nota inviata oggi agli organi di stampa, il Centro ha scelto di riportare un pezzo di un suo intervento tenuto a Palazzo dei Normanni (Palermo – 11 dicembre 1995) durante il convegno «Battere la mafia per la rinascita della Sicilia»:

«Riporto due considerazioni di uno dei grandi protagonisti della lotta alla mafia Paolo Borsellino, e al tempo stesso, accomunando al suo sacrificio, il sacrificio di tutti i magistrati e di tutti gli uomini delle forze dell’ordine caduti lungo la strada della lotta alla mafia. Paolo Borsellino onorò più volte questo Istituto, con sue relazioni e suoi interventi. In uno di questi interventi ebbe a dire che «lo strumento repressivo non potrà mai da solo risolvere il problema della criminalità mafiosa. Soprattutto – precisò – a causa delle radici storiche e socio-economiche, che la criminalità mafiosa ha nella realtà meridionale, e particolarmente siciliana; sicché non incidendo a fondo su tali radici, con interventi che vanno al di là di quelli meramente repressivi e giudiziari la mafia è destinata sempre a perpetuarsi, adattando la sua sostanziale immodificabile natura ai mutevoli aspetti della realtà socio-economica». E sempre nello stesso intervento ebbe anche a dichiarare «che il fenomeno mafioso va affrontato con una globale risposta statuale senza inammissibili ed esclusive deleghe a questa o a quella parte del pubblico apparato e con uno Stato che sappia riappropriarsi del territorio – ed aggiunse – uno Stato però che deve essere credibile in sé e nelle sue Istituzioni». Leggo le sue parole: «la via obbligata per la rimozione delle cause, che costituiscono la forza di «cosa nostra», passa attraverso la restituzione della fiducia nella Pubblica Amministrazione». Io penso che queste due considerazioni dovremmo tenerle ben presenti, perché, anche se negli ultimi tempi (è giusto darne atto) ci sono state iniziative realizzate con forza di muscoli, forse proprio una risposta globale quella che è mancata e che manca. Una risposta in cui siano impegnati, con eguale tensione morale, con tutta trasparenza, con piena capacità operativa lo Stato e tutte le Istituzioni, con in testa la Regione. Una risposta cioè che sia decisiva, perché la terribile «piovra» venga sradicata e la Sicilia finalmente possa essere aperta allo sviluppo, al suo ruolo nel Mediterraneo e a quel domani che la sua gente laboriosa, onesta, carica di una civiltà plurimillenaria indiscutibilmente merita».

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