Ha superato il giro di boa di metà cartellone la stagione teatrale organizzata dall’amministrazione comunale sotto la direzione artistica di Moni Ovadia (affiancato da Mario Incudine). Cinque spettacoli, quelli andati in scena finora, che sono stati complessivamente ben accolti dal pubblico marsalese, con i picchi di presenze registrati per i concerti di Nicola Piovani e del duo Paoli-Rea. Parallelamente, il dibattito marsalese è stato animato da non poche polemiche per il mancato incontro tra lo stesso Ovadia e gli artisti del territorio, che poi hanno deciso di disertare in massa la video conferenza via Skype con l’attore e drammaturgo milanese.
Che bilancio fa di questa prima parte della stagione teatrale?
Premetto che mi sarebbe piaciuto essere presente, ma mi è stato impossibile a causa di un’ernia iatale e una bruttissima radicolite che mi affligge da due mesi. Mi sembra comunque che stia andando bene, anche se siamo partiti in ritardo. Una stagione teatrale si prepara a giugno per andare in scena l’inverno successivo. Adesso con Mario Incudine intendiamo portare avanti un progetto con gli artisti marsalesi. Il tutto, naturalmente, richiede tempo. Tuttavia, pare che il pubblico abbia apprezzato e con il ritorno dei biglietti è probabile che l’intero investimento risulti davvero di basso impegno per le casse pubbliche, anche perchè io non percepisco compensi. E’ vero, ci sono stati anche mugugni e critiche, ma li ho trovati ovunque sono andato.
Non è una prerogativa marsalese, dunque…
Ho diretto per cinque anni il Mittelfest in Friuli ed è stato un trionfo. Ma appena sono andato via hanno appeso i necrologi…E’ un fenomeno tipico: c’è sempre qualcuno che dirà “Se non ci sono io, non va bene”. E poco importa se io non percepisco un centesimo. La natura umana è così, in Italia in particolare. Ci sono direttori artistici in Sicilia che percepiscono fior di compensi. Il mio progetto è diverso, punta a creare una rete di teatri. Stiamo attivando processi in modo che tutti coloro che amano il teatro possano avere benefici. Ma abbiamo bisogno di tempo. Quest’anno è stato come saltare su un treno in corsa.
E’ immaginabile che il prossimo anno i costi della stagione possano essere abbattuti con il contributo di sponsor privati, com’è accaduto con la Campari a Caltanissetta?
A Caltanissetta quest’anno una stagione con 11 spettacoli è costata al Comune 20 mila euro. Praticamente nulla. Trovatemene un’altra così. Abbiamo avuto un recupero dell’80% rispetto all’investimento pubblico, tra sponsor e biglietti. Tutto dipende da quanta energia ci si mette. Come ho già detto, non intendo stare qui a lungo, né mi interessano rendite o posizioni di potere.
C’è un obiettivo che vorrebbe raggiungere prima di lasciare il suo incarico a Marsala?
Uno degli obiettivi è innescare un processo che porti poi il prossimo direttore artistico a fare meglio di me. Prima di tutto, naturalmente, bisogna portare la gente a teatro. Poi mi piacerebbe anche uscire dai teatri e portare avanti progetti in luoghi circostanti. Penso a un Festival o ad una serie di eventi alle saline. E poi vorrei passare il testimone a qualcuno più giovane di me. Noi vogliamo essere volano di spettacoli di grande qualità, come nel caso del concerto di Nicola Piovani, per cui abbiamo riscontrato un entusiasmo enorme, con benefici per gli spettatori, ma anche per chi vuole sviluppare il teatro nel suo ambito. Quando ho cominciato la mia carriera, sembravo destinato ad essere sconfitto in partenza: ai miei spettacoli sarebbero dovuti venire quattro ebrei sopravvissuti. Invece ho riempito i teatri, senza santi in paradiso. So che ci sono già artisti che sono usciti da Marsala e sono andati a fare il mestiere altrove. Spero che la nostra presenza possa far emergere altre proposte che portino il genius loci in Italia e in Europa.
La vicenda della conferenza stampa via Skype ha creato nelle scorse settimane una frattura tra la direzione artistica e gli artisti del territorio. Può essere superata?
Se c’è la volontà, si supera. Io ancora non ho capito perchè protestassero. Ha senso protestare a un mese e mezzo dal mio insediamento? Avevo detto che ci saremmo incontrati a marzo perchè sono stato male. Avevo spiegato che c’era già una proposta per coinvolgerli. Ma se si protesta prima che io metta piede a Marsala, allora c’è malafede…
Hanno detto che le loro critiche non erano rivolte a lei, ma all’amministrazione…
Sì, ma non è un problema mio. Cosa fa di solito un direttore artistico? Una programmazione. E io non ho il teatro a disposizione tutto l’anno. Ho i soldi per fare 7-8 spettacoli, spero nei prossimi anni di farne di più e di organizzare due eventi indimenticabili a carattere internazionale. Attualmente, però non ho soldi per fare laboratori. Vediamo se in futuro arriveranno fondi che consentiranno di fare altro. Potevo fare meno spettacoli? Non sarebbe stata una stagione teatrale. Poi, se pensano che i soldi andavano dati a loro, lo dicano all’amministrazione comunale e io mi ritiro in buon ordine. Ma conoscete una sola cittadina in cui una programmazione teatrale sia fatta solo con artisti del luogo? Non li capisco, è un atteggiamento regressivo che fa male agli stessi artisti. Sono milanese, godo di prestigio, ma a Milano non dirigo nulla. Ogni tanto faccio qualche spettacolo al Piccolo, ma non grazie ad amicizie politiche. Sono un uomo di libero pensiero, non controllabile, non a libro paga e non dico sissignore. Forse anche per questo, pur avendo i titoli, a Milano nessuno mi chiama.
Il 16 marzo andrà in scena anche a Marsala, con lo spettacolo “Il casellante”, tratto da un testo di Andrea Camilleri.
E’ uno spettacolo che nasce dal sodalizio con Mario Incudine, dall’amicizia con Andrea Camilleri e dall’incontro con il regista Giuseppe Di Pasquale, che ha portato alcuni attori con cui aveva lavorato in precedenza. Io faccio il narratore: è come se facessi il Camilleri in scena. Ma faccio anche altri ruoli: il barbiere, la mammana, il criminale, il giudice e il gerarca fascista. Sono l’elemento narrante che porta lo straniamento, ma anche la citazione in senso epico di cinque personaggi.
Che rapporto ha con Camilleri e la cultura siciliana in genere?
La Sicilia è magica: ha una grande cultura e una grande tradizione. Alcuni tra i miei migliori amici sono siciliani. A 3 anni, arrivato dalla Bulgaria, il mio primo amico è stato un bambino messinese. Sua nonna, molto severa, ci riempiva di sequele di insulti che a me sembravano canti. Sono stato anche molto amico di Ignazio Buttitta: conosco a memoria le sue poesie e lo porto sempre con me. Poi c’è Attilio Butera, con cui ho condiviso la stagione delle zingarate: mi parlava sempre in siciliano, raccontandomi tanti aneddoti. C’è stato il grande sodalizio con Roberto Andò, che mi ha consentito di frequentare assiduamente Palermo, di cui ho poi ricevuto la cittadinanza onoraria, che mi è stata conferita anche da Sciara, il paese cui morì Salvatore Carnevale. Ho conosciuto Rosa Balistreri, ho avuto il privilegio di sentire cantare in piazza Ciccio Busacca. Poi c’è stato l’incontro con Andrea Camilleri, di cui sono stato un grande lettore. Quando abbiamo portato in scena “Le Supplici” in ottava rima siciliana, siamo stati molto criticati da tanti che ritengono l’italiano aulico la lingua delle tragedie. In realtà, si tratta di una pura convenzione. Tuttavia, noi stessi eravamo intimoriti e siamo andati da Andrea Camilleri: ci ha trattati con una dolcezza straordinaria e ha fatto per noi un endorsement che è stato ripreso dalla stampa. Con lui ci siamo ritrovati anche nelle temperie dell’impegno civile e ci siamo rivisti altre volte. E infine abbiamo portato in scena “Il casellante”, con la regia di Giuseppe Di Pasquale che riprende la linea già percorsa con “La concessione del telefono” e “Il birraio di Preston”. Per me, avere in bocca le parole scritte da Andrea Camilleri, una sorta di siciliano inventato sulla scia delle sperimentazioni linguistiche di Joyce e Gadda, è un grande privilegio.