Bivio a Cinque Stelle

Vincenzo Figlioli

Marsala

Bivio a Cinque Stelle

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mercoledì 18 Gennaio 2017 - 06:45

Da un lato Chiara Appendino. Dall’altro Virginia Raggi. A Torino, una sindaca che è in cima alle classifiche di gradimento pubblicate sul Sole 24 Ore. A Roma, una che occupa il penultimo posto, dopo aver inanellato una serie di errori e ingenuità che stanno togliendo il sonno anche a tanti attivisti pentastellati.

Due lati di una stessa medaglia che rappresentano un ideale pendolo all’interno del quale oscilla il futuro del Movimento 5 Stelle e forse anche dell’intero Paese. Inutile girarci intorno: il trend di queste settimane, dopo il referendum che ha bocciato la riforma della Costituzione e le conseguenti dimissioni di Matteo Renzi, è tutto dalla parte dei pentastellati, che nonostante scelte a dir poco discutibili godono di consensi crescenti che li candidano seriamente alla guida del governo nazionale. Senza dimenticare che prima che per il rinnovo del Parlamento si potrebbe votare anche per le regionali in Sicilia, dove il Movimento 5 Stelle è dato dagli analisti come potenziale favorito.

Legittimo, a questo punto, chiedersi quale Movimento 5 Stelle potremmo ritrovarci: quello di Virginia Raggi o di Chiara Appendino? Un interrogativo che è un’evidente semplificazione per esprimere un concetto più articolato.

Originariamente Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio erano riusciti a radunare attorno alla loro creatura politica molti cittadini stanchi del berlusconismo e di un centrosinistra che non era stato capace di contrastarlo adeguatamente. Partendo dalla questione morale e dalla richiesta di un ricambio della classe dirigente, il Movimento 5 Stelle sembrava in grado di raccogliere giovani e meno giovani in grado di rappresentare un’altra Italia: quella lontana dalle clientele, dalla corruzione, dalle infiltrazioni malavitose. Cittadini che si erano distinti negli studi, nel loro lavoro, nel volontariato, nella cittadinanza attiva e che pertanto erano in grado di mettere le proprie competenze al servizio del Paese.

Negli ultimi tempi il Movimento 5 Stelle è però diventato anche (o soprattutto) altro. E a leggere le prese di posizione di molti suoi attivisti l’impressione è che si stia trasformando in gran calderone in cui trovano spazio uomini e donne senza alcuna preparazione, né alcuna competenza. Esattamente come accade negli altri partiti. Un processo che ha prodotto, tra le altre cose, l’ingiusta emarginazione del sindaco di Parma Federico Pizzarotti (peraltro terzo nella classifica del Sole 24 Ore sopra citata) e il ridimensionamento di altri attivisti della prima ora. Anche in Sicilia, da un lato i pentastellati sono riusciti a produrre un gruppo che ha ben lavorato all’Ars e a eleggere sindaci che stanno amministrando sfuggendo a tentazioni populiste. Dall’altro, si sono infilati in un confuso vortice che rischia concretamente di togliere credibilità alle “comunarie” di Palermo.

In un momento in cui i vertici del Movimento sembrano guardare con simpatia persino Putin e Trump pur di rimarcare le differenze con tutto ciò che possa lontanamente somigliare al Pd di Renzi, appare legittimo tifare per gli “altri”: quegli attivisti che continuano a sostenere la bontà del progetto pur non digerendo le sortite dei vip del Movimento. Quelli che hanno cominciato dalle manifestazioni antimafia, che mostrano attenzione verso la giustizia sociale e che si sono sempre opposti al carrierismo politico, ai privilegi e agli opportunismi. Quelli che nel nome della “real politik” non avrebbero mai cavalcato le idee della Lega Nord sull’immigrazione, che all’Europarlamento non avrebbero mai tentato l’adesione all’Alde (e forse nemmeno al gruppo di Farage) e che non si sarebbero fidati di Marra.

Se in queste settimane il M5S riuscirà a guardarsi dentro con maturità e a raddrizzare il tiro, allora potrà davvero candidarsi a guidare il Paese o la Regione Sicilia per tanti anni. Se preferirà scimmiottare il vuoto populismo di Trump, riuscirà probabilmente a vincere le elezioni, ma non a cambiare l’Italia come i cittadini si aspettano. Col rischio, infine, di consegnare davvero il governo, al prossimo giro, a quella destra più reazionaria che proprio il M5S ha fin qui frenato catalizzando su di sé i consensi che nel resto d’Europa sono andati alle forze più xenofobe e razziste.

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