Negli ultimi mesi non riesco a togliermi un pallino dalla testa.
A mio modo di vedere è bene di tanto in tanto interrogarsi sullo stato di salute della nostra Democrazia, per questo non riesco a non ricondurre il momento storico che viviamo a diverse analogie già vissute qualche tempo fa.
Proviamo ad interrogarci sul clima che si respirava nel Paese alla vigilia del crollo della cosiddetta “prima Repubblica”.
Se pure tanto ha contribuito il mutare della geografia politica con il crollo del muro di Berlino, com’è noto in Italia è risultata decisiva l’azione della magistratura: era “tangentopoli”.
Andiamo con le analogie.
La fiducia nei partiti tradizionali era ai minimi storici, così come la congiuntura economica non delle più favorevoli, la criminalità organizzata alzava il tiro sfidando a viso aperto le migliori risorse dello Stato ed il popolo, che quel sistema direttamente o indirettamente lo aveva foraggiato (e subìto) cercava il “salvatore”, colui che avrebbe ricondotto sulla retta via l’intero Paese.
Come andò a finire lo sapete.
Il “salvatore” si chiamava Berlusconi e dall’alto del suo potere finanziario e mediatico ne determinò i vent’anni a seguire.
A pensarci bene, cos’è cambiato rispetto ad allora?
Le mafie hanno subìto un processo di trasformazione e sempre più si rifanno alla propria potenza finanziaria, i partiti non godono di ottima salute, il “senso dello Stato” sembra essere sempre più appannaggio di pochi nostalgici e la visione del futuro nelle giovani generazioni più che suscitare speranza produce angoscia.
E’ accaduto allo stesso tempo che con l’acqua sporca si sia buttato anche il bambino.
E allora si è proceduto alla chiusura di tutte le sezioni che nel territorio facevano sì che i cittadini si confrontassero sui temi riguardanti lo sviluppo della propria Città, formando di fatto la nuova classe dirigente.
I sindacati hanno finito per rappresentare un’altra casta di auto-conservazione? Si è proceduto alla sistematica distruzione di quanto prodotto in decenni di lotta operaia relegando nel dimenticatoio figure quali Giuseppe Di Vittorio e Luciano Lama.
Ecco, scrivo questo perché con preoccupazione avverto che in qualche modo la storia si stia ripetendo.
Ma “il salvatore”, o l’uomo “nuovo”, lo vedo in un’aggregazione politica che sì ha rappresentato la più interessante novità sulla scena, l’esperimento antropologico applicato alla politica meglio riuscito degli ultimi anni e che (è chiaro mi riferisco al movimento 5 stelle) è risultato essere forse di contenimento rispetto alle derive fascistoidi che in altre nazioni d’Europa sono tornate sulla scena.
Tuttavia, è questo che mi separa da loro nella mia attività politica, temo talvolta pecchino di presunzione partendo dalla consapevolezza di detenere la verità, unica ed incontrovertibile.
Una visione del mondo nella quale chi non è allineato al “grillo pensiero” è da combattere ad ogni costo e con i mezzi che la modernità mette a disposizione delle masse (i social network).
Gli stessi mezzi che a detta di uno scribacchino qualunque che risponde al nome di Umberto Eco “hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli”.
E allora ecco che sono tutti uguali, tutti corrotti, tutti frutto della peggiore cultura politica, estremizzando l’idea che si è andati oltre i concetti di “destra” e “sinistra”. Concetti che probabilmente appartengono al vocabolario del novecento, è vero, ma che certamente hanno determinato l’assetto della Repubblica e che nelle loro migliori espressioni hanno caratterizzato l’essenza antifascista dello Stato.
Dimenticano che nel generalizzare a trarne beneficio sono soltanto i peggiori e che a criticare ogni singola cosa ad uscirne devastato è soltanto il concetto di critica.
Ovviamente quando sono chiamati a governare finiscono per emergere anche per loro tutte le criticità che la responsabilità del governo comporta, per tutti sia chiaro.
E’ cronaca dei nostri giorni, in alcune realtà hanno portato una ventata di innovazione, in altre è emersa una preoccupante propensione ad eleggere figure paragonabili ai famosi dilettanti allo sbaraglio.
Quando si fa emergere questo, ecco che il rilancio d’ufficio porta all’elencazione delle nefandezze degli “altri”, senza troppo meditare sulle reali motivazioni, una volta scoperte le quali magari si può procedere alla correzione per il futuro.
Questa tuttavia è prerogativa del “capo”, della guida spirituale al quale è stato delegato il potere di promuovere o “scomunicare” chi non si adegua.
Una sorta di “fuga dalla libertà” ridotta, che risparmia al singolo movimentista l’interrogarsi, tanto ci pensa il leader, che, tra le altre cose, è anche l’unico detentore del “verbo”.
In questa idea di Democrazia c’è qualcosa che non mi quadra.
C’è la “reazione” di una parte del popolo che è complice (tanto quanto gli altri) di un sistema che non è riuscito a riformarsi dopo le vicende sopra elencate, che si sgretola sotto i colpi della sempre più dilagante corruzione a danno della cosa pubblica.
Una parte del popolo che ha trovato il suo nemico ed una causa comune alla quale uniformarsi per sentirsi parte di un qualcosa, per non morire di solitudine dietro ad una tastiera.
Daniele Nuccio