Il meteo al tempo dei social

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Il meteo al tempo dei social

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venerdì 16 Ottobre 2015 - 06:30

“Molto rumore per nulla” chioserebbero i fan di William Shakespeare per descrivere quanto accaduto nelle ultime 24 ore nel trapanese. I fatti sono noti: l’allerta meteo della Protezione Civile, la chiusura delle scuole disposta in alcuni Comuni, la preoccupazione di chi non sapeva se uscire di casa, il sollievo per una giornata meno piovosa del previsto.
Come abbiamo scritto anche in altre occasioni, i temporali autunnali sono quanto di meno anomalo possa esistere. Ci sono sempre stati e continueranno ad esserci. E’ cambiato invece il nostro modo di vivere i cambiamenti meteorologici. O forse sarebbe più corretto dire che è il nostro modo di vivere ad essere cambiato tout court. Siamo circondati da una mole di informazioni che spesso non sappiamo gestire: sulla politica, l’economia, il cibo, la salute, lo sport e il meteo (naturalmente). Divoriamo le notizie in maniera bulimica, convinti di avere sempre tra le mani la lettura più corretta e pronti a far rivivere l’eterno derby tra guelfi e ghibellini ad ogni piè sospinto. Si tratti di temi di vitale importanza per la continuità della specie umana o di argomenti futilissimi, il furore è sempre lo stesso.
In questo scenario cambia anche il ruolo del giornalista: un tempo si puntava sui titoli ad effetto per dare una notizia o per sferzare un’opinione pubblica dormiente; adesso, le circostanze ci portano a sentire il dovere di utilizzare le nostre competenze per ridimensionare quel senso di apocalisse permanente che invade la comunicazione per strada o (soprattutto) sui social e di cercare di mettere un minimo di ordine.
Perché, come diceva nel suo saggio illuminismo Leonardo Sciascia, “se tutto è mafia, niente è mafia”. Analogamente, se continueremo ad utilizzare toni apocalittici per ogni argomento – politica, economia, cibo, salute, meteo, calcio – finiremo per sentire solo un vociare indistinto che ci farà perdere definitivamente il senso delle priorità. E alla fine, nessuno credere più alla nostra indignazione, un po’ come accade al pastorello di Esopo, che dopo essersi burlato più volte dei contadini gridando “al lupo, al lupo”, non fu più creduto quando i lupi si presentarono sul serio davanti al suo gregge. Facendo strage di pecore e agnelli.

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