Proseguono le vicende giudiziarie che hanno come protagonista l’ex sindaco di Pantelleria Alberto Di Marzo. E’ in corso presso il Tribunale di Marsala un processo in cui l’ex primo cittadino isolano è accusato di omissione d’atti d’ufficio. I fatti risalgono all’inizio del 2010, durante il secondo mandato di Di Marzo alla guida dell’amministrazione pantesca. Secondo gli inquirenti, non adotto tempestivamente un atto che avrebbe dovuto garantire l’igiene e la salute pubblica. In particolare, la vicenda riguarda la mancata rimozione (o comunque “messa in sicurezza”) della copertura in eternit di un magazzino comunale. L’accusa evidenzia inoltre che Di Marzo aveva ricevuto a riguardo una nota inviatagli nel gennaio 2011 dall’allora sostituto procuratore di Marsala Bernardo Petralia, che a sua volta aveva avuto modo di esaminare un fascicolo aperto nel 2006, quando era sindaco Salvatore Gabriele, relativo alla denuncia di un cittadino pantesco. Di Marzo e i suoi avvocati hanno finora risposto che il mancato intervento dell’ex sindaco fu dovuto al ritardo con cui gli fu recapita la nota del pm Petralia. Agli atti del processo è stata adesso inserita anche la relazione stilata dal comandante della Polizia Municipale di Marsala, Vincenzo Menfi, incaricato di svolgere le indagini da Petralia nel suo ruolo di responsabile della sezione di pg dei vigili urbani presso la Procura marsalese. Secondo l’avvocato D’Amico, però, il documento redatto da Menfi non spiega quando l’ex sindaco pantesco ricevette la comunicazione di Petralia. La prossima udienza del procedimento si terrà il 16 novembre.
Alberto Di Marzo, come si ricorderà, si è dimesso da sindaco nel maggio del 2012 dopo essere stato arrestato dai carabinieri di Trapani con l’accusa di corruzione. Successivamente decise di patteggiare la pena e fu condannato dal gup di Marsala a un anno e mezzo di reclusione. I suoi primi problemi giudiziari risalgono però al 2002 e al suo primo mandato da sindaco di Pantelleria. In quella circostanza Di Marzo fu arrestato con l’accusa aver compiuto estorsioni a danno di alcuni imprenditori. In primo grado, venne condannato a 3 anni e sei mesi di reclusione. In appello, però, venne assolto, con una sentenza poi confermata dalla Cassazione.
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