In un Paese civile e democratico, ciclicamente arriva il momento di riflessioni tanto dolorose quanto necessarie. E se quotidianamente ci ritroviamo a constatare quanto sia ormai inderogabile l’esigenza di un cambiamento radicale in Italia, guardando alla politica, all’economia, al sindacato, all’imprenditoria, alle professioni e persino al mondo dell’informazione, non possiamo escludere da quest’elenco anche le forze dell’ordine.
A scanso di equivoci, occorre chiarire che conosciamo bene il valore del contributo che ogni giorno arriva alla nostra comunità dalla Polizia, dall’Arma dei carabinieri, dalla Guardia di Finanza e dalla Capitaneria di Porto. Sappiamo quant’è prezioso il loro lavoro nel controllo del territorio e nella lotta alla mafia e alla criminalità semplice. Così come conosciamo le difficoltà in cui si trovano ad operare, tra i tagli dovuti alla spending review, la carenza di uomini e mezzi, un ricambio generazionale che procede con il contagocce. Non lo sottolineiamo perchè è dovuto, ma perchè in quanto operatori dell’informazione riceviamo conferme continue a riguardo.
Tuttavia, in questi anni, mentre ci siamo ritrovati in più occasioni a chiedere più risorse per le forze dell’ordine, abbiamo anche preso amaramente atto di alcune vicende (da Stefano Cucchi a Federico Aldrovandi, fino alla “macelleria messicana” della Diaz) che poco hanno a che fare con uno Stato di diritto. “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, recita il terzo comma dell’articolo 32 della nostra Costituzione. Ma la violenza di Stato dei casi sopra citati si pone in netto contrasto con questo principio. Così come c’entrano poco con l’articolo 32 le parole sprezzanti di certi sindacati di polizia, che hanno difeso i protagonisti delle suddette vicende, al di là del comune buon senso. Fortunatamente, in questi giorni abbiamo letto e ascoltato dichiarazioni di segno nettamente opposto, da parte di altri rappresentanti delle forze dell’ordine.
Qui però non è una questione di sensibilità individuale. Ma di formazione. Ed è difficile spiegarsi come, all’interno dello stesso corpo, possano convivere gli aguzzini della Diaz, gli assassini di Aldrovandi e, dall’altra parte, gli operatori di polizia che ogni giorno si impegnano per rendere migliore questo Paese. Proprio per questo riteniamo che il vento del cambiamento debba coinvolgere anche le forze dell’ordine, attraverso un processo riformatore che possa davvero permettere ai diversi corpi di polizia di lavorare nella maniera migliore possibile. E che al contempo garantisca ad ogni cittadino la certezza di vedere in ogni divisa un tutore del diritto e non un potenziale picchiatore.
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