Ci apprestiamo a vivere l’ultima settimana di campagna elettorale. Saranno giornate intense, che vedranno i candidati impegnati ad arringare i partecipanti alle loro iniziative pubbliche, a cercare nuovi sostenitori per aumentare i propri consensi, a trovare le parole giuste per sottolineare i proprio punti di forza e i punti di debolezza degli avversari. Tutto come sempre, in fin dei conti. Sullo sfondo, tante città italiane stanno assistendo ad un aumento della contrapposizione politica tra le ali estreme dello scenario politico e le prossime ore – a partire dalle iniziative in programma oggi a Palermo con il previsto corteo di Casa Pound e le risposte degli antifascisti – ci faranno capire cosa dobbiamo aspettarci nei mesi che verranno. A naso viene da pensare che la situazione che si sta determinando potrebbe favorire il centrodestra, che nell’immaginario collettivo appare più capace di ripristinare quell’idea di ordine sociale a cui la “maggioranza silenziosa” degli italiani è sempre stata sensibile.
Ad ogni modo, resta la sensazione di una campagna elettorale in cui tanti temi su cui ci si sarebbe aspettata attenzione e serietà non sono stati toccati. Ieri abbiamo scritto di come la lotta alla criminalità organizzata sembri scomparsa dall’agenda politica, nonostante gli allarmi lanciati dalla Commissione Antimafia. Ma sono anche altri i temi su cui il silenzio appare assordante e la sensazione è che a gran parte dei contendenti convenga parlare d’altro, a partire da quelli legati all’economia. I programmi si somigliano tutti e manca la capacità di indicare un modello alternativo che vada al di là di alcuni provvedimenti specifici (flat tax, reddito di cittadinanza o altro) per far intravedere un progetto da cui far ripartire l’Italia sul piano economico e sociale. Tutto ciò probabilmente è legato a una legge elettorale che ha determinato un clima di confusione ed incertezza in cui è altamente probabile che nessuno schieramento politico possa uscire dalle urne con la vittoria in tasca. Lo sanno bene anche in Europa, dove il presidente Juncker ha espresso grande preoccupazione per le sorti italiane, salvo doversi esibire in una diplomatica retromarsh per evitare strumentalizzazioni.
L’impressione dunque, è che per quei cambiamenti radicali che gli italiani si aspettano da tempo bisognerà attendere ancora a lungo. L’auspicio è che il nostro amato Paese non finisca strozzato dal groviglio di tensioni sociali che lo stanno attraversando da Nord a Sud senza che gran parte della classe dirigente nazionale abbia mostrato piena comprensione di quel che sta realmente accadendo.